Anno IV – Numero 563
AVVISO
Ordine
1. Campagna
antinfluenzale 20142015
2. Crisi occupazionale:
Istituito un fondo di
solidarietà per i colleghi
iscritti all’ albo in stato
di disoccupazione
Notizie in Rilievo
Scienza e Salute
3. La prima diagnosi si fa
sulla lingua
4. Diabete, tatuaggi (e non
aghi) per misurare i
valori della glicemia
Prevenzione e
Salute
5. Mononucleosi,
l’identikit della malattia
del bacio
6. Pillola dei 5 giorni
senza ricetta, i medici
cattolici: aborto
mascherato
7. Fitness, dieta e stop al
fumo: le sfide salutari
riescono meglio se in
coppia
Giovedì 22 Gennaio 2015, S. Vincenzo martire
Proverbio di oggi………..
‘O sacco vacante, allerto nun se mantène
Il sacco vuoto, in piedi non ci rimane
LA PRIMA DIAGNOSI SI FA SULLA LINGUA
Combinati con altri sintomi, i suoi cambiamenti possono
indicare la presenza di specifici problemi di salute
Cosa significa se la lingua è gonfia?
Cosa si può invece nascondere dietro ad apparentemente innocui
cambiamenti del suo colore?
Oggi un nuovo software promette di dare
una risposta a queste e ad altre domande
simili. Messo a punto da ricercatori in India,
il programma analizza immagini digitali
della lingua e combina le informazioni così
ottenute con quelle ricavate da questionari
standard mirati all'individuazione di altri
possibili sintomi.
Il risultato è una diagnosi preliminare che
può suggerire se è il caso di sottoporsi ad
accertamenti
per
smascherare
definitivamente il problema alla base dei
sintomi osservabili in bocca.
Attualmente il nuovo software, descritto sulle pagine dell'International Journal
of Biomedical Engineering, permette di identificare 14 diverse patologie.
L'aspetto della lingua può infatti portare a sospettare la presenza di disturbi
variabili dal semplice raffreddore alla bronchite, passando per influenza,
infezioni alla gola, sinusiti, allergie, asma edema polmonare e anche
intossicazioni alimentari.
Una lingua infiammata e biancastra può ad esempio essere il segnale del
mughetto, mentre la presenza di ulcere può essere associata al morbo di
Crohn.
I ricercatori vorrebbero estendere il numero di disturbi identificabili
aggiungendo la possibilità di analizzare anche immagini dell'occhio: sembra
proprio che in futuro la diagnosi sia destinata ad essere letta in faccia.
(salute, Il Sole 24Ore)
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FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno IV – Numero 563
PREVENZIONE E SALUTE
MONONUCLEOSI,
L’IDENTIKIT DELLA MALATTIA DEL BACIO
Mononucleosi: il suo nome mette paura agli adolescenti. È un’infezione virale
tipica dell’età giovanile, chiamata "malattia del bacio", con rischi per la salute rari.
Il commento dell’esperto.
Malattia del bacio. Mai nome fu tanto “cattivo†per un atto così bello. Per questo meglio chiamare
l’infezione con il suo nome scientifico, mononucleosi, e cercare di capire che cos’è e come si
manifesta.
«Il nome “malattia del bacio†dato alla mononucleosi,
infezione dovuta al virus Epstein-Barr, è fuorviante –
dice il professor Carlo Selmi, immunologo e
responsabile della Unità Operativa di Reumatologia in
Humanitas – perché si radica nell’antica convinzione
che il contagio avvenisse soltanto attraverso il contatto
fisico ravvicinato del bacio, mentre oggi sappiamo che
la trasmissione avviene attraverso le particelle di saliva
con le stesso modalità del virus influenzale:
non serve il bacio, ma basta essere vicino al soggetto
infetto».
Mononucleosi, i rischi sono limitati: I dati epidemiologici dimostrano che il 90% della
popolazione adulta è venuta in contatto nel corso della propria vita con l’Epstein-Barr virus.
La maggior parte delle persone ha sviluppato gli anticorpi, senza aver alcun sintomo dell’infezione.
«Si tratta infatti – di una infezione che normalmente tende a risolversi da sola senza dare particolari
preoccupazioni e senza sintomi rilevanti».
I segni della mononucleosi, quindi, possono essere vaghi, ma in rari casi la sintomatologia può
evolvere in maniera più evidente.
SINTOMI: «I segni e i sintomi sono uno stato di debolezza del paziente, febbre, faringite, un
innalzamento dei globuli bianchi. Il trattamento in questi casi è solo sintomatico, ma il vero fastidio è la
durata dell’infezione, da poche settimane a qualche mese».
TERAPIA: Nei casi più lievi non sarà necessaria alcuna terapia, quando ci sono i disturbi citati la
terapia è sintomatica: antipiretici per abbassare la febbre, antinfiammatori e solo nei casi più gravi
corticostiroidei.
«Le complicanze della mononucleosi sono rare e riguardano un coinvolgimento degli organi interni,
come cuore e fegato, che comporta un rischio di Epatite acuta – ricorda il professor Selmi – che
rappresentano i casi in cui si ricorre a terapie sistemiche.
Ultimo caso in cui l’infezione può causare complicanze è la gravidanza – conclude l’immunologo – e
non a caso il test per individuare gli anticorpi all’EBV fa parte del set di esami che vengono eseguiti
sulle donne in dolce attesa».
(Salute, Humanitas)
PAGINA 3
FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno IV – Numero 563
SCIENZA E SALUTE
DIABETE, TATUAGGI (E NON AGHI)
PER MISURARE I VALORI DELLA GLICEMIA
Per i diabetici è possibile valutare i livelli di zucchero analizzando i fluidi della pelle
attraverso sensori temporanei ed evitare così di andare incontro a crisi
ipoglicemiche
Uno speciale tatuaggio di carta, invece degli aghi che bucano la punta
del dito, per misurare, nei diabetici, i livelli di zucchero. L’invenzione è
di una neolaureata all’University of California di San Diego, Amay
Bandokar, che ha sperimentato, grazie alle nanotecnologie, un sistema
non invasivo per valutare indirettamente la glicemia, analizzando
quanto glucosio c’è nei fluidi che circondano le cellule della pelle (e
che sono appunto correlati alla quantità presente nel sangue) .
Crisi ipoglicemiche : I pazienti diabetici, soprattutto quelli in terapia con insulina, sono costretti a
monitorare la glicemia più volte al giorno per valutare quanto la terapia è in grado di tenerla sotto
controllo e per evitare il rischio di andare incontro a crisi ipoglicemiche (glucosio troppo basso) o
iperglicemiche (glucosio troppo alto).
Per ora il nuovo dispositivo, studiato a San Diego, è un prof-of-concept come dicono gli anglosassoni,
cioè l’abbozzo di un metodo che, però, sembra promettente, in futuro, non solo per rilevare gli
zuccheri, ma anche altre sostanze che possono essere presenti nell’organismo (come per esempio
droghe).
Sensori. Si tratta di un sistema, costituito, appunto, da una sorta di tatuaggio di carta da mettere sulla
pelle, ma dotato di elettrodi.
Attraverso questi ultimi viene applicata una minima corrente elettrica, per dieci minuti, che spinge gli
ioni sodio, presenti nei fluidi fra le cellule cutanee, a migrare negli elettrodi. Questi ioni trasportano le
molecole di glucosio anch’esse presenti nei fluidi fra le cellule della pelle.
E un sensore misura quanta elettricità è necessaria per portare a termine questo lavoro.
Il problema è interpretare i dati e arrivare e dire, valutando il glucosio presente in questi fluidi (che è
infinitamente più basso di quello del sangue) quale è il reale valore della glicemia, cioè degli zuccheri
presenti nel sangue (la glicemia, il vero parametro che interessa).
Bluetooth e cloud. Per ora il paziente non lo può sapere direttamente, ma si stanno studiando
sistemi per rendere i dati subito accessibili, per trasmetterli attraverso Bluetooth al medico di fiducia e
per archiviarli nel cluod (la nuvola di Internet).
L’idea del tatuaggio misura-glicemia sembra dunque promettente.
Un dispositivo simile, chiamato GlucoWatch, era stato messo in circolazione nel 2002, ma causava una
serie di problemi come irritazione cutanea, mentre il nuovo dispositivo (per ora sperimentato su
volontari sani fra i 20 e i 40 anni, dopo un ricco pasto a base di sandwich e bibite gassate che, si sa,
aumentano moltissimo la glicemia) sembra non avere questi effetti collaterali perché utilizza una
corrente elettrica più bassa. (salute, Corriere)
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Anno IV – Numero 563
SCIENZA E SALUTE
PILLOLA DEI 5 GIORNI SENZA RICETTA, I MEDICI
CATTOLICI: ABORTO MASCHERATO
Dopo l'Ema è arrivata la decisione dell'Unione europea: non occorre la
prescrizione. In Italia l'ultima parola spetta all'Aifa,
ma è già polemica. Anche i farmacisti verso l'obiezione
Basterà entrare in farmacia e chiedere, senza avere con sé la
ricetta di un medico. Dall'Europa arriva una decisione che
potrebbe rivoluzionare la contraccezione di emergenza anche in
Italia. Sempre che non si trovi il modo per aggirare la
disposizione di Ema, l'agenzia del farmaco europea, e della Ue, in
base alla quale per acquistare la pillola dei 5 giorni dopo
(EllaOne è il nome commerciale, ulipristal acetato il principio attivo) non c'è più bisogno di una
prescrizione. E in effetti, a giudicare dalle polemiche già scatenate dal fronte cattolico, è facile
prevedere un percorso pieno di spine per il farmaco nel nostro Paese.
"È solo un aborto mascherato", dicono medici e farmacisti cattolici italiani, mentre Francia,
Inghilterra e Germania si preparano a partire a febbraio.
Ema ha spiegato che la pillola non ha effetti collaterali, se viene presa a gravidanza già iniziata
non provoca danni. In Italia, invece, le donne che vogliono assumerla devono fare il test per
escludere che siano incinte.
Così solo in 20mila l'anno scelgono EllaOne, mentre 320mila prendono la pillola del giorno dopo.
Il produttore già sei mesi fa ha chiesto ad Aifa di togliere l'obbligo del test, ma l'agenzia ha
risposto che trattandosi di un aspetto eticamente rilevante avrebbe girato tutto al ministero.
Quando l'agenzia del farmaco europea ha deciso di non richiedere più la ricetta, l'Italia è stato
uno dei pochi Paesi a votare contro, il che fa capire quanto sarà difficile attuare la regola.
All'Aifa prendono tempo e annunciano che la questione verrà sottoposta alla commissione
tecnica. "È anche ipotizzabile la richiesta al ministro della Salute di un approfondimento in seno al
Consiglio superiore di sanità ". C'è da aspettarsi un lungo periodo di riflessione, come sempre
quando gli organi tecnici devono prendere decisioni scientifiche che possono avere aspetti etici.
"Non vogliamo che sia sancito il divieto di usare la pillola - dice Filippo Boscia, ginecologo e
presidente dell'Associazione medici cattolici - ma definirla un contraccettivo è una bugia.
Usarla vuol dire abortire, ma non è questo che mi preoccupa, quanto il fatto che ormai le giovani
hanno rapporti a 13-14 anni. Se iniziano così presto a usare farmaci di questo tipo danneggiano
il loro sviluppo riproduttivo. Confido che governo e Aifa blocchino tutto".
Molto duro Pietro Uroda, dei farmacisti cattolici. "Per quanto ci riguarda questo rimedio non
dovrebbe essere messo in commercio perché abortivo. È una vergogna: come la pillola del giorno
dopo interrompe la possibilità di ospitare nell'utero il concepito. Stiamo facendo una causa legale
e, se vanno avanti, diremo ai nostri associati di fare obiezione".
Emanuela Lulli, presidente di Scienza e Vita, aggiunge: "È una deresponsabilizzazione enorme per
un farmaco importante. In Italia nemmeno un rimedio da 100 mg per il raffreddore viene dato
senza prescrizione". Parla di "facilitazione" dell'aborto monsignor Elio Sgreccia, presidente
emerito della Pontificia accademia per la vita. Sul fronte opposto c'è Emilio Arisi, presidente della
Società della contraccezione: "È razionale dare il farmaco senza ricetta, cosa tra l'altro decisa da
un ente importante come Ema. Penso alle donne e all'utilità dello strumento. Chi ne ha bisogno
oggi lo insegue con una serie di peripezie inutili. Ricordo che stiamo parlando di contraccezione di
emergenza". (Salute, La repubblica)
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FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno IV – Numero 563
PREVENZIONE E SALUTE
FITNESS, DIETA E STOP AL FUMO: LE SFIDE SALUTARI
RIESCONO MEGLIO SE IN COPPIA
Uno studio realizzato su 3700 coppie sposate o conviventi di 50 o più anni conclude
come le scelte di vita sane vadano più spesso a buon fine se sono condivise
Mal comune mezzo gaudio, dice la saggezza popolare.
E in effetti se si smette di fumare in due, o sempre in due
si dice addio alla pastasciutta, forse la privazione è un po’
meno dura da affrontare e gli sforzi conducono a risultati
migliori.
E’ la conclusione di uno studio britannico che pone
l’accento sul ruolo trainante dei comportamenti del
partner, stimolo unico verso comportamenti più corretti.
Lo studio : Gli studiosi dello University College di Londra
hanno reclutato 3700 coppie, sposate o conviventi da
tempo, sopra i 50 anni di età e tutte con abitudini di vita
non troppo salutari (chi era fumatore, chi forte mangiatore
e chi ancora dedito a una vita sedentaria).
I ricercatori li hanno poi monitorati per un periodo di 4 anni, riscontrando che molti tra questi avevano
preso nel frattempo decisioni drastiche circa lo stile di vita, lasciando il fumo, convertendosi all’attivitÃ
fisica o introducendo un regime dietetico più sano.
Infine nello studio è stato riscontrato che coloro che avevano trovato un sostegno nel comportamento
del partner, sposando una direzione comune, si erano dimostrati molto più inclini a lasciare i vizi.
Scoperta importante per la sensibilizzazione
Per esempio è emerso dalla ricerca che:
 un fumatore è due volte più facilitato nel dire addio alla sigarette se il partner non fuma,
 ma ben dieci volte più propenso a smettere se il proprio partner è fumatore e nel frattempo
cessa di fumare.
Come fa notare Sarah Jackson, a capo dello studio, le conclusioni del lavoro possono avere risvolti
importanti per le pubblicità e le campagne di sensibilizzazione, di solito rivolte ai singoli individui. Se il
target diventa la coppia, come nota Jackson, le percentuali di successo e l’effetto domino possono
avere importanti implicazioni.
Altri studi valorizzano il ruolo del partner sulle abitudini di vita
Certo non si tratta del primo studio che enfatizza il ruolo dell’amore, della stabilità di coppia e del
partner sulle abitudini di vita, anche se è difficile stabilire in che direzione vada il legame:
in parte si può trattare di una tendenza a specchiarsi nei comportamenti dell’amato e in parte in taluni
casi scatta invece una sana competizione quando uno dei due decide di migliorare le proprie abitudini.
Per esempio è risaputo che le persone sposate, o coinvolte in relazioni stabili, si espongono a minori
rischi di malattie cardiache o tumorali e questo probabilmente grazie all’azione psicologia positiva di
una relazione, ma anche a meccanismi di competizione ed emulazione che si attivano nelle coppie e
che portano spesso gli individui a condurre vite più salutari.
Va detto che i ricercatori hanno trascurato invece di vedere il bicchiere mezzo vuoto, indagando
l’effetto negativo dei cattivi comportamenti nella coppia.
Quanto è contagiosa e inquinante una cattiva abitudine del/la coniuge/compagno/a?
Non è dato saperlo, ma si sospetta parecchio. (salute, Corriere)