Anno II – Numero 162 AVVISO 1. I farmacisti napoletani incontrano i farmacisti Europei: Praga Notizie in Rilievo Scienza e salute 2. Quali sono i test per scoprire subito a cosa si è allergici Prevenzione e Salute 3. Più a rischio chi fuma appena sveglio Alimenti e Salute 4. La birra eccita il cervello maschile 5. Colesterolo aumenta il rischio di sviluppare l’Alzheimer Curiosità 6. Lo stress si misura dai capelli 7. Addio spazzolino, i denti si lavano con la lingua Lunedì 22 Aprile 2014, S. S. Caio, Sotero, Leonida LO STRESS SI MISURA DAI CAPELLI Dalla loro analisi risultati più precisi di quelli del sangue Lo stress a cui siamo esposti rimane scritto sulla lunghezza del capello e anche da lì si può calcolare il rischio cardiovascolare di una persona. E' quanto emerso da uno studio condotto dalla Univ. Erasmo da Rotterdam su oltre 280 anziani e pubb. sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism. LA RICERCA - Attraverso la quantità di cortisolo (ormone dello stress) presente nei capelli si capisce a quanto stress la persona è stata esposta negli ultimi mesi, e da questa misura si ottiene una stima attendibile del suo rischio cardiovascolare. Gli esperti hanno prelevato capelli della lunghezza media di tre centimetri, e analizzato la parte più vicina al cuoio capelluto misurando la concentrazione di cortisolo. I tre centimetri analizzati "ricapitolano" lo stress cui è stata sottoposta la persona nei tre mesi precedenti l'esame. Laura Manenschijn, tra gli autori della ricerca, spiega: "Poiché i capelli possono catturare l'informazione circa le variazioni dei livelli di stress nel tempo, l'analisi del capello ci dà uno strumento migliore del prelievo di sangue per misurare il rischio cardiovascolare di un individuo". (Tgcom Salute) ADDIO SPAZZOLINO, I DENTI SI LAVANO CON LA LINGUA SITO WEB ISTITUZIONALE: www.ordinefarmacistinapoli.it iBook Farmaday E-MAIL: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.; Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. SOCIAL – Seguici su Facebook –Diventa Fan della nostra pagina www.facebook.com/ordinefarmacistinapoli PAGINA 2 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno II – Numero 162 SCIENZA E SALUTE QUALI SONO I TEST GIUSTI PER SCOPRIRE SUBITO A CHE COSA SI È ALLERGICI Inutile (e anche dannoso) sottoporsi a esami a tappeto. Va capito caso per caso quali possono davvero servire A qualcuno capita che la pelle si arrossi, pizzichi, si riempia di bollicine. Ad altri che si gonfino le labbra, oppure di avere fastidi gastrointestinali; ad altri cola il naso e lacrimano gli occhi. Tutti sintomi che fanno pensare a un'allergia, ma come capire a che cosa? Identificare il cibo, il polline, la sostanza responsabile può non essere facile. Una corsa a ostacoli non priva di rischi, come sottolinea un recente documento dell'Am. Academy of Allergy Asthma and Immunology: i test allergici - dovrebbero essere condotti seguendo specifici criteri e sotto la guida di un medico allergologo, altrimenti possono diventare uno spreco di tempo e di denaro e addirittura rivelarsi nocivi, perché, ad es., potrebbero indurre a escludere alimenti importanti per la salute senza necessità, o potrebbero creare le condizioni per non riconoscere in tempo malattie diverse e serie che danno sintomi simil-allergici. NO AL FAI DA TE - Secondo gli esperti americani, innanzitutto, bisogna diffidare di qualsiasi forma di «fai da te»: no ai test per le allergie o le intolleranze che si possono far da soli e acquistare perfino sul web, no all'autodiagnosi (stando alle stime un paziente con rinite allergica su tre va dal medico solo quando i sintomi diventano insopportabili, gli altri cercano di gestire i fastidi per conto proprio), no a un percorso di cura che non parta da un’accurata raccolta della storia clinica da parte di un medico. «Con un colloquio approfondito lo specialista può già capire di che tipo di allergia si tratta: quelle ai pollini, ad es., danno per lo più sintomi respiratori, anche se talvolta vi si associa la dermatite atopica - spiega M. Triggiani, presidente della Società Italiana di Allergologia e Immunologia Clinica (SIAIC) -. Le allergie respiratorie sono anche le più facili da individuare: dopo aver ipotizzato quali potrebbero essere le sostanze incriminate (in base, ad es., al momento dell'anno e alle situazioni in cui compaiono i fastidi), in genere per arrivare alla diagnosi precisa bastano il Prick test e il RAST test per la ricerca delle immunoglobuline E». ORTICARIA - Nel caso di disturbi del tratto gastrointestinale o di manifestazioni cutanee, come l'orticaria, il percorso invece può essere un po' più lungo, perché vanno escluse malattie diverse che possono dare sintomi simili, come patologie autoimmuni o infiammatorie, tumori, malattie del fegato o del sangue. «L'orticaria, che è sempre più frequente (si stima riguardi almeno una persona su quattro nell'arco della vita, ndr), non va sottovalutata: gli shock anafilattici più gravi si manifestano spesso in pazienti che hanno trascurato a lungo di indagare le cause del disturbo. In questo caso si deve fare il patch test, il RAST e anche i test per l'orticaria fisica, esponendo la pelle del paziente a stimoli come il caldo, il freddo, la pressione, per valutarne la reattività». PAGINA 3 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno II – Numero 162 ALIMENTI - Che cosa fare invece se si sospetta di un cibo? «La diagnosi di allergie alimentari può essere fatta facilmente solo nei rari casi in cui è molto evidente: se dopo aver mangiato un'arachide in pochi minuti ci si gonfia, difficile avere dubbi - spiega M.A Muraro, responsabile del Centro di riferimento regionale per lo studio e la cura delle allergie e delle intolleranze alimentari del Dip. di pediatria dell'Univ. di Padova e responsabile della Sezione di pediatria dell'European Academy of Allergology and Clinical Immunology (EAACI) -. In tutti gli altri casi bisogna valutare la storia clinica e sottoporsi a più di un test, escludendo però quelli per le immunoglobuline G che tuttora vengono spesso proposti ai pazienti con una sospetta allergia alimentare: il nostro organismo produce IgG in risposta a qualsiasi proteina esterna con cui veniamo in contatto; l'esame sarà positivo a tutto quello che abbiamo mangiato di recente e quindi non ha alcun senso farlo». «Servono invece il prick test e la ricerca delle IgE, ma se sono negativi non è detto che si possa escludere un'allergia al cibo - aggiunge Triggiani -. Per le analisi vengono usati estratti degli alimenti freschi, ma spesso li consumiamo "modificati", se non altro perché cotti: la reazione dell'organismo al test può quindi non essere la stessa che si ha nella vita quotidiana. Per cui, in caso di esami negativi si passa al patch test e al test di provocazione, molto più utile di quanto si pensi». I TEST - Più laborioso degli altri (ma ritenuto essenziale soprattutto se i sintomi sono cronici e non si riesce a venirne a capo), richiede la compilazione di un diario alimentare e l'eliminazione dalla dieta di tutti gli allergeni potenziali, spesso scelti tenendo conto delle allergie più frequenti nella popolazione (in Italia, per esempio, quella all’uovo; in Svezia invece quella al pesce). «I cibi devono essere tolti per un periodo che va da 2 a 6 settimane: bisogna infatti arrivare a ridurre i sintomi di almeno il 50% - dice Muraro -. A quel punto si propone l'alimento sospetto al paziente, meglio se in modo che né lui né il medico sappiano che cosa sia, e in diversi dosaggi; così si arriva a una diagnosi precisa e si scopre anche la soglia di tolleranza all'alimento». «Utilissimi anche i test molecolari come l'ISAC - prosegue l’esperta -, che individuano con precisione la proteina a cui si è allergici, con implicazioni importanti per chi, ad esempio, non tollera sostanze vegetali. Chi infatti è allergico alle profiline, allergeni condivisi da frutta, verdura e pollini, ha sintomi soprattutto locali come pizzicore e gonfiore alla bocca e non ha problemi mangiando i vegetali cotti; gli allergici alle proteine LTP di frutta e verdura, invece, possono andare più facilmente incontro a uno shock anafilattico e sono a rischio anche nel consumare i vegetali cotti. Sapere con precisione qual è la proteina allergizzante dà, perciò, indicazioni sulle eventuali allergie "crociate", sulla gravità del problema e sulla probabilità che si mantenga a lungo, senza possibilità di arrivare a una tolleranza». DIAGNOSI - Gli strumenti per la diagnosi, quindi, sono sempre più raffinati, l'importante è affidarsi a un medico esperto. «Purtroppo i pazienti vagano spesso da uno specialista all’altro senza arrivare alle risposte: molti vengono etichettati come ipocondriaci, così c'è chi finisce per affidarsi a test fai da te o senza alcuna validità scientifica, come i test per le intolleranze - osserva Muraro -. Nessuno dei test diversi da quelli allergologici codificati può dare risposte attendibili». «Un test non validato per le intolleranze può costare dagli 80 ai 250 euro - conferma Triggiani -. Una batteria standard di prove per il prick test costa meno di 40 euro; il RAST test, se viene diretto contro una decina di allergeni dopo aver valutato la storia clinica del paziente, può arrivare ai 60 euro; l’ISAC test si aggira sui 120-140 euro. Perciò non conviene prendere strade "alternative", ma rivolgersi a un allergologo e seguire il percorso indicato per arrivare nel minor tempo possibile a una diagnosi corretta». (E. Meli, Salute Corriere) PAGINA 4 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno II – Numero 162 PREVENZIONE E SALUTE PIÙ A RISCHIO CHI FUMA APPENA SVEGLIO I livelli di sostanze cancerogene sono più elevati in chi si accende la prima sigaretta entro la prima ora dal risveglio Fumare immediatamente dopo il risveglio aumenta l’esposizione ai carcinogeni presenti nel tabacco. La dimostrazione arriva da uno studio della Penn State University, pubb. recentemente sulla rivista Cancer, Epidemiology, Biomarkers and Prevention, che ha valutato i dati di circa duemila fumatori americani. I ricercatori hanno analizzato i livelli nelle urine di biomarcatori specifici della presenza di carcinogeni dovuti al tabacco e hanno così scoperto che il tasso di sostanze nocive in chi fuma entro i primi cinque minuti da quando si sveglia è doppio rispetto chi aspetta almeno un’ora. Oltre ad essere un valido indicatore del livello di dipendenza da nicotina, il momento della prima sigaretta appare dunque, secondo gli studiosi, come il secondo indicatore di "nocività" del fumo subito dopo il numero di sigarette fumate nell’arco della giornata. E, come dimostrato da altri studi, accendersi la sigaretta subito dopo il risveglio aumenta anche il rischio di ammalarsi di tumore alla bocca e ai polmoni. FUMO: 70MILA MORTI ALL’ANNO - L’OMS stima che ogni anno il fumo uccida ben sei milioni di persone nel mondo, più di 70mila solo in Italia, di cui circa 40mila per neoplasia polmonare, 10mila per altre malattie legate al tabacco e oltre 20mila per malattie cardiovascolari. Secondo un'indagine Doxa in Italia i fumatori sono il 20,8 per cento della popolazione, meno del 2011, e la percentuale più bassa degli ultimi 50 anni. Nonostante la consapevolezza sui danni causati dal tabacco e la crisi economica, il 76,2 per cento di quanti continuano a fumare non ha però cambiato le sue abitudini e non intende smettere. E c'è di più: si sente in buona salute e mette le sigarette al penultimo posto della lista delle spese da tagliare per far fronte alla mancanza di liquidità. (V. M., Salute Corriere) LA BIRRA ECCITA IL CERVELLO MASCHILE La bevanda stimola la produzione di dopamina, un neurotrasmettitore legato al concetto di ricompensa. E l'effetto dell'alcol non c'entra, è una questione di gusto. Una bella rossa - in pinta - il derby, gli amici: per un uomo, qualcosa di molto vicino al paradiso. Ma cosa avrà mai di tanto speciale la birra agli occhi, e alle papille, maschili? Una ricerca dell'Indiana University School of Medicine (USA) lo rivela: la più popolare bevanda fermentata stimola nel cervello maschile la produzione di dopamina, un neurotrasmettitore rilasciato in concomitanza di stimoli legati al piacere e alla ricompensa. AMORE AL PRIMO SORSO: ricercatori hanno sottoposto a PET una tecnica di scansione cerebrale, 49 volontari ai quali sono stati somministrati sotto forma di spray alternativamente acqua, sport drink e birra. A ciascuno sono stati dati 15 ml di liquidi nell'arco di 15 min., l'equivalente della birra che si berrebbe condividendo una pinta con 38 persone. Così gli scienziati hanno escluso che l'effetto sul cervello fosse dovuto all'alcol, assunto dai soggetti in minime quantità. La birra, tra tutte le bevande, è stata quella che più ha stimolato la produzione di dopamina: dopo averla assaggiata, gli uomini erano inoltre più propensi a chiedere qualcosa di alcolico. È la prima ricerca che mostra come sia sufficiente il gusto di un drink a sollecitare il rilascio di dopamina, al di là delle conseguenze dell'alcol. (Focus) PAGINA 5 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno II – Numero 162 ALIMENTI E SALUTE Colesterolo aumenta il rischio di sviluppare l’Alzheimer Il colesterolo "cattivo" contenuto nei cibi grassi e poco sani pare sia coinvolto anche nella malattia di Alzheimer. Alti livelli di colesterolo LDL nel sangue aumentano il rischio sia di malattia di Alzheimer che di malattie cardiovascolari. Sebbene il meccanismo per cui questa sostanza danneggi il cervello e le arterie non sia ancora del tutto chiaro, è risultato evidente il suo coinvolgimento nel danneggiare la divisione cellulare e promuovere la trisomia, già collegata alla sindrome di Down. Il colesterolo LDL, o “cattivo”, si ritiene da ormai molto tempo essere una delle possibili cause dei danni alle arterie e all’apparato cardiocircolatorio in genere. Uno dei suoi effetti è, per es., l’aterosclerosi – ossia l’indurimento delle arterie, anticamera di angina pectoris, infarto e ictus. Ciò che tuttavia ha sconcertato i ricercatori della School of Medicine dell’Univ. del Colorado è stata l’azione devastante del colesterolo LDL nei confronti del processo di divisione cellulare, che provoca la diffusione in tutto il corpo di cellule “figlie” difettose. La dr.ssa A. Granic e il dr H. Potter, hanno così osservato come, sia in modello animale che nell’uomo, il colesterolo cattivo abbia indotto le cellule a dividersi in modo non corretto, distribuendo in maniera diseguale nella generazione successiva di cellule i cromosomi duplicati. Quello che in sostanza accade è che ci si ritrova con un accumulo di nuove cellule difettose: con un n. errato di cromosomi e un altrettanto numero errato di geni. Le cellule figlie infatti presentano, ora tre copie di ogni gene; ora uno solo – invece di 2 copie di ogni gene, come dovrebbe essere: un bel guaio dunque. Sì, perché, come spiegato dai ricercatori, le cellule che presentano tre copie del cromosoma (o trisomia) sono implicate nella codifica del peptide amiloide – noto per essere un componente chiave delle placche amiloidi che si accumulano nel cervello di chi soffre di Alzheimer. Le persone affette dalla sindrome di Down, presentano la trisomia 21 in tutte le cellule che compongono il loro organismo e, spesso, queste persone sviluppano problemi cerebrali e, molti, anche la malattia di Alzheimer dopo i 50 anni di età. Il riscontro tra queste mutazioni indotte dal colesterolo LDL e l’Alzheimer è stato in precedenza osservato nel 10% delle cellule presenti nei pazienti con la malattia di Alzheimer, le quali avevano tre copie del cromosoma 21 anziché due. I risultati completi dello studio sono stati pubb. su PLoS ONE, e suggeriscono che la malattia di Alzheimer possa essere in qualche modo una “forma” di sindrome di Down acquisita. Detta ipotesi è supportata anche dalla constatazione che i geni mutanti che causano malattie ereditarie come l’Alzheimer provocano lo stesso difetto nella segregazione cromosomica – come fa il colesterolo – indicando così la presenza di un problema comune di divisione cellulare nella malattia di Alzheimer, sia familiare che occasionale. Altra scoperta fatta dai ricercatori è stato il trovare la trisomia 21 nei neuroni del cervello di bambini affetti dalla malattia di Niemann-Pick di tipo C, una malattia ereditaria in cui i pazienti non sono in grado di metabolizzare correttamente il colesterolo né altri lipidi all’interno delle cellule. Questo risultato suggerisce che la neurodegenerazione stessa potrebbe essere legata alla missegregazione cromosomica, ossia la segregazione difettosa dei cromosomi. Secondo i ricercatori, riuscire a identificare correttamente l’azione del colesterolo LDL sulle cellule e il problema che ne consegue, potrà portare a nuovi approcci per la terapia in molte malattie umane come l’Alzheimer, l’aterosclerosi e probabilmente anche il cancro, in quanto tutte queste malattie – e altre – mostrano un denominatore comune nella divisione cellulare difettosa. I due autori dello studio hanno anche testato un trattamento semplice ed efficace che ha impedito al colesterolo cattivo di agire negativamente sulla divisione cellulare: nelle cellule in vitro che sono state trattate con dell’etanolo, questo ha impedito al colesterolo di far distribuire in maniera diseguale i cromosomi nelle nuove cellule. Con queste scoperte si preannunciano dunque nuovi orizzonti per la prevenzione e il trattamento di alcune tra le più temute malattie che affliggono l’uomo. (Stampa salute)