Anno II – Numero 192 Notizie in Rilievo Tecnologia e Salute Mercoledì 05 Giugno 2013, S. M…. Quei geni più attivi che stimolano la fedeltà Il rapporto do coppia duraturo nasce grazie a due geni chiave che portano a comportamenti di unione e fedeltà 1. Quei geni più attivi che stimolano la fedeltà. Ecco la «freccia di Cupido» che fa sbocciare l'amore e Alimentazione e Salute 2. Troppo sale per 3 bambini su quattro. Occhio a latte e cereali. Prevenzione e Salute 3. Bellezza: trionfa ritocco soft, 1 donna su 3 dice addio a labbroni e a Photoshop su web 4. Reni: gli esami del sangue da fare. Scienza e Salute 5. Un trapianto di feci per curare l’intestino 6. Perdere peso, i batteri intestinali alleati della dieta? 7. Troppi dolci da bambini, più aggressivi da adulti. Domande e Salute 8. Perché il paziente si chiama così? nascere un rapporto di coppia: modifiche a livello del Dna che rendono più attivi due geni chiave per i comportamenti di unione e fedeltà. Lo rivela uno studio pubb. sulla rivista Nature Neuroscience da M. Kabbaj della Florida State University, e condotto sull'animale simbolo del legame di coppia, l'arvicola o topo delle praterie americane. Gli esperti hanno scoperto che la formazione di una coppia stabile in questi roditori avviene subito dopo che gli animali si sono accoppiati e in concomitanza con modifiche genomiche (dette epigenetiche) che aumentano l'attività di due geni, quelli per i recettori degli ormoni, ossitocina e vasopressina. L'INIZIO DELL'AMORE - Gli esperti sono anche riusciti a indurre l'inizio di «un amore», bypassando la fase di accoppiamento, dando all'animale un farmaco oncologico che provoca gli stessi cambiamenti epigenetici che avvengono in natura dopo l'accoppiamento. L'arvicola è divenuto famoso perchè instaura rapporti monogamici e duraturi e una famiglia con la spartizione dei compiti di accudimento della prole; i Teocon americani lo hanno spesso usato a modello per sostenere che monogamia e fedeltà siano comportamenti naturali e innati. (Salute, Corriere) PERCHÉ IL PAZIENTE SI CHIAMA COSÌ? Il termine deriva dal verbo latino patire, che significa soffrire, sopportare. Un paziente è una persona che soffre, ma anche che ha pazienza. Infatti, da patire deriva anche la parola pazienza. Multilingue: Il termine paziente si è conservato simile in moltissime lingue. In inglese (patient), francese (patient), tedesco (Patient), olandese (patiënt) e danese (patient) la parola è sostanzialmente identica. Mentre in spagnolo e portoghese si dice paciente. Altre lingue usano termini comunque molto simili a questi: pacient (ceco), pacjent (polacco)... SITO WEB ISTITUZIONALE: www.ordinefarmacistinapoli.it iBook Farmaday E-MAIL: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.; Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. SOCIAL – Seguici su Facebook –Diventa Fan della nostra pagina www.facebook.com/ordinefarmacistinapoli PAGINA 2 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno II – Numero 192 SCIENZA E SALUTE UN TRAPIANTO DI FECI PER CURARE L'INTESTINO Il primo caso in Italia. La paziente è guarita da una grave infezione intestinale provocata da un germe resistente agli antibiotici Fino a oggi nessuno, in Occidente, aveva mai osato ricorrere alla «zuppa gialla», una terapia, descritta nei testi di medicina cinese del quarto secolo dopo Cristo, per curare certe gravi infezioni intestinali. Ma adesso c’è una «prima» italiana: una giovane donna si è sottoposta all’Osp. L. Sacco di Milano a un trapianto di microbiota fecale (più prosaicamente definibile come trapianto di feci, la zuppa gialla appunto) per curare una grave infezione intestinale da Clostridium difficile, un germe particolarmente cattivo e resistente agli antibiotici. E dopo quindici giorni dall’intervento, la ricerca della tossina batterica (spia della presenza del germe nell’intestino) è negativa e la paziente sta bene. Il trapianto è il primo in Italia. IN OLANDA - Il New York Times, nel febbraio scorso, ha riportato il caso di una paziente con un’ infezione intestinale, sempre da Clostridium difficile, guarita con questo trattamento. E nello stesso periodo, il New England Journal of Medicine, ha pubblicato un lavoro scientifico, firmato da ricercatori olandesi, che dimostrava come questa cura avesse funzionato in 15 (su 16) pazienti. La paziente italiana, curata al Sacco, era venuta a conoscenza di questa possibilità terapeutica, si era rivolta ai medici olandesi e questi ultimi le avevano suggerito di parlarne con Mario Corbellino, un medico vivace e curioso che lavora, appunto, alla Clinica di Malattie Infettive dell’Osp. Luigi Sacco di Milano, diretta da Massimo Galli, e che si era interessato a questa procedura. ANTIBIOTICI - Così è partita la richiesta di cura all’ospedale milanese, richiesta che ha ricevuto il parere positivo del comitato etico (quest’ultimo si deve sempre esprimere sul ricorso a cure compassionevoli, cure cioè non codificate). E i gastroenterologi dell’ospedale hanno messo a disposizione le apparecchiature per l’intervento. «La paziente soffriva di un’infezione da Clostridium difficile – spiega Galli - che sei mesi di terapia con vancomicina (un antibiotico) non erano riusciti a debellare. Il germe è un costituente della flora batterica intestinale (cioè di quella popolazione di microrganismi che albergano del nostro intestino: il microbiota). Di solito è innocuo, ma può diventare particolarmente pericoloso soprattutto quando terapie antibiotiche, somministrate per curare patologie diverse, distruggono i suoi “antagonisti” e gli lasciano spazio libero per riprodursi». Risultato: gravi diarree, debilitazione del paziente e necessità di ricorrere ad antibiotici potenti e specifici contro di lui che non sempre funzionano e possono provocare effetti collaterali importanti. Il problema delle infezioni da Clostridium difficile può presentarsi, sporadicamente, in persone che sono state sottoposte a terapie antibiotiche per motivi vari, ma sta aumentando anche in pazienti anziani, ricoverati in reparti di lungodegenza o in strutture residenziali COSTI RIDOTTI - «Uno dei fattori che favoriscono l’emergere di questo germe – sono i farmaci antiacidi, in particolari gli inibitori della pompa protonica. Queste medicine, riducendo appunto l’acidità dello stomaco, favoriscono il passaggio di batteri, come il Clostridium, che vengono ingeriti dall’esterno e che vanno a scombinare la flora batterica intestinale». Ecco allora, per i casi più complessi, una soluzione semplice, meno costosa e meno pericolosa degli antibiotici (che hanno effetti collaterali): il trapianto, appunto, di microbiota fecale (cioè di feci). Il materiale non è nobile, ma al di là di prevedibili ironie, è facilmente reperibile (ma naturalmente sul donatore vanno effettuati tutti i test che escludano la presenza di vermi o di parassiti intestinali), e non è costoso. Ma come si esegue il trapianto? «Il materiale, che nel nostro caso è stato ottenuto da un congiunto stretto della paziente – è stato opportunamente preparato e “iniettato” con un colonscopio nella parte alta (iniziale) del colon in modo che non fosse subito espulso». (Salute, Corriere) PAGINA 3 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno II – Numero 192 PREVENZIONE E SALUTE BELLEZZA: trionfa RITOCCO soft, 1 donna su 3 dice addio a LABBRONI e a Photoshop su web Come dimostra il caso della cantante Beyoncè, che ha criticato il ricorso eccessivo a Photoshop per 'correggere' le sue curve in una campagna pubblicitaria, o quello più recente di Isabella Rossellini, che appare 'al naturale' sulla copertina di una nota rivista femminile Cambia l'ideale della bellezza femminile, ritocco incluso. Una donna su tre, anche tra le più famose, dice 'no' alle labbra a canotto e all'utilizzo di Photoshop sul web, tanto in voga fino a ieri. A spingere verso questa strada 'più naturale', secondo gli esperti, sono i social network, che permettono di caricare immagini di vita quotidiana sul web, come spiega all'Adnkronos Salute G. Basoccu, resp. della divisione di chirurgia plastica, estetica e ricostruttiva dell'Istituto neurotraumatologico Italiano. Basoccu parla di un "ritorno alla bellezza 'naturale' che contagia molte donne, anche dello star system". Come dimostra il caso della cantante Beyoncè, che ha criticato il ricorso eccessivo a Photoshop per 'correggere' le sue curve in una campagna pubblicitaria, o quello più recente di Isabella Rossellini, che appare 'al naturale' sulla copertina di una nota rivista femminile. "L'era del ritocco - spiega Basoccu - è cambiata: le donne non vogliono più essere plastificate e appariscenti ma 'naturali'. Quasi tutte le celebrità ormai - si scoprono di fronte al loro pubblico, diffondendo foto 'acqua e sapone' su Instagram o Facebook". E' quindi inutile mostrarsi sul web in un certo modo, per poi essere riprese sulle copertine dei giornali "più magre di 10 kg, o più giovani di 20 anni - conclude - Di conseguenza molte donne preferiscono fare dei ritocchi minimi senza evidenziare troppo la differenza tra apparire ed essere". Ma a spingere verso sobrietà anche nel campo della bellezza, secondo altri esperti è la situazione di insicurezza che stiamo vivendo, anche a livello economico. Un'incertezza "che ci porta alla ricerca della verità, piuttosto che dell'apparenza", spiega M. L. Brandi, endocrinologa all'Univ. di Firenze, sottolineando che questo fenomeno si sta manifestando sempre più nella nostra società: "Il momento di crisi e di insicurezza che stiamo vivendo ci porta a risaltare ciò che di più vero ci appartiene, a partire dal nostro corpo". "Le donne italiane ci piacciono di più al naturale". (Adnkronos Salute) PAGINA 4 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno II – Numero 192 ALIMENTAZIONE E SALUTE TROPPO SALE PER 3 BAMBINI SU 4 OCCHIO A LATTE E CEREALI Quasi 3 bambini su 4 assumono ogni giorno più sodio della quantità massima raccomandata - 400mg qal giorno fino ai 12 mesi -, secondo quanto emerge da uno studio pubblicato sull’European Journal of Clinical Nutrition che mette in evidenza la relazione tra in consumo eccessivo di sale nei primi anni di vita e il rischio di ipertensione nelle età successive. Nel panorama degli alimenti che nascondono troppo sale emergono 2 insospettabili: latte e cereali, che fanno parte dell’alimentazione quotidiana infantile ma a cui - sottolinea lo studio - bisogna prestare particolare attenzione. “Il latte materno contiene modeste quantità di sodio (15 mg/100 ml) tuttavia il lattante riconosce e risponde al salato già all’età di 6 mesi – spiega Claudio Maffeis, prof. associato di Pediatria all’Università di Verona. Con lo svezzamento, l’apporto di sodio aumenta sia per gli aumentati fabbisogni del bambino sia per la progressiva modificazione nella composizione della dieta che diviene gradualmente sempre più simile a quella dell’adulto. Lo studio ha dimostrato che i lattanti inglesi assumono nel 70% dei casi più sodio di quanto raccomandato”. Esiste infatti una sostanziale differenza tra il contenuto di sodio del latte formulato, specifico per i bambini, e il latte vaccino. “Il contenuto di sodio nel latte, che durante il secondo semestre di vita è un alimento basale della nutrizione del lattante, varia molto tra latte umano (15mg/100ml), formula (in media 20mg/100ml) e latte di latteria (55 mg/100ml) – sottolinea l'esperto –. Gli studi hanno evidenziato che il gruppo di bambini con maggior apporto di sale assumeva infatti già latte vaccino a 8 mesi”. Le raccomandazioni in merito sono arrivate da più fronti, ricorda Maffeis: “La somministrazione di alimenti con eccessivo contenuto di sodio è un comportamento fortemente sconsigliato sia dalla Società Italiana di Pediatria che dalla Società Europea di Gastroenterologia e Nutrizione Pediatrica che raccomandano di evitare la somministrazione di latte vaccino al bambino prima del compimento dell’anno, oltre a raccomandare di non salare le pappe del bambino per tutto il primo anno”. L’altro alimento insospettabile emerso dagli studi è il cereale. “Oltre al latte, anche i cereali hanno un contenuto di sale rilevante, primi fra tutti il pane e altri cereali 'da tavola' (250mg/100ml). Molti lattanti inglesi che assumevano cereali ‘da adulti’ prima dell’anno sono risultati eccedere le raccomandazioni di sodio consigliate”, conclude l'esperto. (Salute, Sole 24ore) PAGINA 5 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno II – Numero 192 SCIENZA E SALUTE PERDERE PESO, I BATTERI INTESTINALI ALLEATI DELLA DIETA? Nella lotta contro l'obesità tutto è permesso. Anche arruolare qualche miliardo di batteri intestinali per “allenarli” ad assorbire meno calorie e quindi a ridurre fianchi e pancetta? Gli studiosi che stanno cercando nell'intestino umano le famiglie di microrganismi coinvolte nel metabolismo lipidico ne hanno già trovata una che fa al caso di chi non riesce a perdere peso: si chiamano “firmicuti” e il nome non troppo simpatico potrebbe derivare anche dal fatto che sono responsabili di un maggiore assorbimento di calorie. Uno studio pubblicato su Cell Host and Microbes, condotto sugli zebra fish – pesci con il Dna molto simile a quello umano – ha permesso di identificare questo ceppo di batteri che popola la flora intestinale e il loro ruolo nella digestione dei grassi. I “pesci zebra” - caratteristica la loro livrea bianconera – appena nati sono trasparenti: è bastato miscelare un po' di sostanze fluorescenti al loro pasto per seguire con precisione il percorso che il cibo fa nell'apparato digerente. Grazie a questo stratagemma, i ricercatori della North Carolina University sono riusciti a individuare chiaramente l'azione dei “firmicuti”, complici nell'assorbimento di calorie. Manipolare il microbioma frontiera per dimagrimenti naturali? I microbiologi sono in fermento. Un recente studio su Nature Immunology aveva scoperto un altro indiziato nella via che porta all'obesità, la limfotossina, un enzima associato all'aumento di peso e legato a doppio nodo agli Erysopelotrichi, un'altra classe di batteri nota per un'assidua presenza nell'intestino dei soggetti obesi. “Bonificare” l'apparato digerente della flora “batterica” prendi-peso potrebbe sembrare un'alternativa a complesse terapie per dimagrire. Ma a quale prezzo per l'organismo? (Salute, Sole 24ore) TROPPI DOLCI da BAMBINI, PIÙ AGGRESSIVI da ADULTI Più cioccolato da bambini, più violenti da adulti. Lo sostiene uno studio della Cardiff University pubblicato sul "British Journal of Psychiatry", secondo il quale le caramelle mangiate da piccoli non renderebbero dolci e mansueti da grandi. Anzi. “La spiegazione – spiega S. Moore – è che dare ai bambini dolci e cioccolato con regolarità potrebbe non permettere loro di imparare ad attendere per ottenere ciò che vogliono. E a volte, quando non si riesce ad avere subito ciò che si desidera, si può essere spinti verso un comportamento più impulsivo per ottenere ciò che si vuole, che può anche essere associato alla delinquenza”. La ricerca è stata condotta, a partire dal 1970, su più di 17 mila bambini inglesi dell`età di 10 anni. A distanza di quasi 40 anni, i ricercatori hanno ora rilevato come i piccoli che erano soliti mangiare giornalmente grandi quantitativi di dolciumi avessero più probabilità di esser condannati per atti di violenza già all`età di 34 anni. È risultato infatti che il 69% dei volontari che avevano mostrato atteggiamenti violenti già all`età di 34 anni avesse mangiato caramelle e cioccolato quasi ogni giorno durante l`infanzia. “Migliorando l`alimentazione dei bambini – si può non solo migliorarne la salute, ma anche ridurne l`aggressività futura”. (Lidia Baratta) PAGINA 6 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno II – Numero 192 PREVENZIONE E SALUTE RENI: GLI ESAMI DEL SANGUE DA FARE Reni, questi sconosciuti. È proprio il caso di dirlo a proposito dei “filtri” dell’organismo. Quando qualcosa non va, danno segnali difficili da interpretare per il paziente. Vediamo, invece, come scoprire il loro "linguaggio". Nefropatie - “Quando inizia una nefropatia, i reni non danno segni precisi e diretti”, ricorda la nefrologa Annamaria Bernardi. “Solo quando la nefropatia è in fase avanzata vi sono sintomi ben precisi”. Quali? “L'anemia, l'ipertensione, gli edemi, senso di nausea e vomito, astenia profonda e stato soporoso”. Infezioni vie urinarie o cistiti - Più facile accorgersi velocemente delle infezioni, i cui “fastidi” non sono certo invisibili. “Febbre elevata con brivido, difficoltà a urinaria e minzione dolorosa, urine torbide e spesso anche con tracce di sangue”, spiega l’esperta. Gli stessi sintomi si possono accusare se vi è una calcolosi renale, ma “in questo caso in più avremo una colica renale o a destra o a sinistra precisa la nefrologa -, colica che è molto forte e indirizza subito alla diagnosi”. Altre nefriti - Per quelle di origine infettiva o conseguenti a malattie come il diabete, l'ipertensione, le cardiopatie i sintomi sono più sfumati. Eccoli: “Talvolta constatiamo urine rosate, talora senso di affaticamento - dice Bernardi - in questi casi però il paziente sarà già controllato e la diagnosi sarà precoce”. Casi familiari - Per soggetti predisposti o con familiarità di patologia renale “è bene fare l’esame delle urine, che, “da solo, è già in grado di dare informazioni su una eventuale patologia renale o delle vie urinarie”, aggiunge l’esperta. Gli esami - Con un semplice esame delle urine possiamo riscontrare diversi problemi. La spia si accende se vi è la presenza di globuli rossi. La forma dei globuli rivelerà al microscopio la provenienza del “corpo estraneo”. “Infatti se provengono dal rene sono raggrinziti per il lungo e tortuoso percorso che hanno fatto per giungere in vescica - sottolinea Bernardi -, se invece provengono dalle vie urinarie (ureteri o vescica) sono intatti e non hanno subito alterazioni”. La presenza di albumina nelle urine “vuol dire che la membrana basale del glomerulo si è rotta o è infiammata e lascia passare l'albumina che altrimenti in un rene sano dovrebbe essere trattenuta e rimessa in circolo”. In qualche raro caso vi può essere presenza di albumina per forti sforzi o per attività fisica intensa (proteinuria da stress), “ma questa scompare poche ore dopo lo sforzo e non è patologica”. L'acidità urinaria è, invece, elevata quando un soggetto mangia troppa carne e troppe proteine. La creatinina è un prodotto del metabolismo muscolare e “nel processo di filtrazione renale non viene né riassorbita né escreta per cui passa tutta nelle urine e il suo valore nel sangue è quindi sempre costante (0,8 -1 mg%)” spiega l’esperta. E quando i valori sono fuori norma? “Se troviamo un incremento nel sangue vuol dire che il filtro renale non funziona bene - conclude la nefrologa - perché essendo il rene alterato in senso restrittivo non riesce ad eliminare tutta la creatinina prodotta dai muscoli”. (C. Colasanto, Salute, Sole 24 ore)