Anno II – Numero 198 AVVISO 1. Viaggio a S Pietroburgo Giovedì 13 Giugno 2013, S. Antonio di Padova DOMANDE E RISPOSTA CHI HA INVENTATO GLI ANTIPASTI? Notizie in Rilievo L’usanza di aprire la cena con qualcosa di stuzzicante che non fosse una pietanza abbondante e impegnativa risale alle tavole Prevenzione e Salute ricche dell’antica Roma. 2. Allattamento, fa bene anche alla mamma: meno tumori e infarti. Scienza e Salute 3. Gli uomini? Maturano entro ai 43 anni. Alimenti e salute 4. Contro la cellulite non esiste una dieta ma ci sono cibi utili a combatterla 5. Settimana dei disturbi da glutine: non solo celiachia Domande e Risposta 6. Chi ha inventato gli antipasti? La coena, il pasto più importante e sostanzioso che cominciava all’imbrunire, iniziava infatti con il gustatio: ostriche, polpette di pesce, ortaggi insaporiti da salse agrodolci e piccanti, salsicce, le onnipresenti uova sode e molti altri stuzzichini accompagnati dal mulsus, un vino mielato. Le portate del banchetto: Da molti scritti pare che già allora si fosse consapevoli che iniziare il pasto con verdure e insalate aiutava lo stomaco a ricevere le altre portate, che nelle case dei nobili erano ricche ed elaborate. Dopo l’antipasto si passava infatti alla prima mensa, che vedeva protagonisti cinghiali allo spiedo, lepri decorate, pappagalli ripieni di uova di pavone, pesci al forno, gamberi, frutti di mare. La secunda mensa concludeva il banchetto con dolci e frutta di ogni genere. L’usanza di aprire la cena con uova sode e chiuderla con la frutta, soprattutto mele, diede vita al proverbio ab ovo usque ad mala, letteralmente dall’uovo alle mele, che in realtà significa dall’inizio alla fine. Dopo la caduta dell’Impero romano e per tutto il Medioevo l’antipasto cadde in disuso lasciando ai piatti di carne e di cacciagione il compito di aprire il pasto. Ricomparve sulle tavole nel ’500, per poi giungere fino a noi. I farmacisti Napoletani incontrano i Farmacisti Europei: SAN PIETROBURGO TOUR SAN PIETROBURGO 19/22 Settembre 4 giorni / 3 notti COME PRENOTARSI: uffici dell’Ordine entro e on oltre il 20 Luglio p.v. SITO WEB ISTITUZIONALE: www.ordinefarmacistinapoli.it iBook Farmaday E-MAIL: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.; Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. SOCIAL – Seguici su Facebook –Diventa Fan della nostra pagina www.facebook.com/ordinefarmacistinapoli PAGINA 2 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno II – Numero 198 ALIMENTI E SALUTE CONTRO LA CELLULITE NON ESISTE UNA DIETA MA CI SONO CIBI UTILI A COMBATTERLA Illusori i regimi che promettono «miracoli» Ogni anno, in questo periodo, ci viene proposta qualche nuova dieta anti-cellulite. Disintossicare e far perdere peso sono in genere i primi obiettivi di questi regimi, spesso basati sul ricorso quasi ossessivo a certi alimenti, come l'ananas o la papaia. La sicurezza con cui sono proposti fa pensare che la loro efficacia sia stata ben dimostrata in studi clinici controllati. Consultando la letteratura scientifica, però, ci si rende conto che di studi pubblicati su questo argomento ce ne sono ben pochi, e quei pochi minano anche alcune di queste "certezze", come l'effetto sempre positivo del dimagrimento sulla cellulite. Per esempio, uno studio pubblicato su Plastic and Reconstructive Surgery e condotto allo Skin Sciences Institute di Cincinnati (USA) ha valutato gli effetti del dimagrimento sulla cellulite in una trentina di donne, partecipanti a vari programmi dimagranti. Se per 17 donne la perdita di peso si è rivelata utile per migliorare la cellulite, in altre 9 ha portato a un peggioramento, come dimostrato dalla rugosità superficiale della pelle e dalle alterazioni del tessuto dermico sottocutaneo. GRASSO - Ma in cosa si differenziavano i due gruppi? L'entità della perdita di peso (in media, 7,2 kg nel gruppo del miglioramento e 2,7 kg nell'altro), il peso di partenza (in media 107 kg contro 88 kg) e la riduzione della circonferenza della coscia (rispettivamente 8,1 cm, contro 3 cm) sono risultati fra i fattori discriminanti. «In effetti - commenta Isabella Savini, professore di Scienze Dietetiche (corso di laurea in Scienze della Nutrizione Umana) dell'Università di Roma Tor Vergata - il peggioramento della cellulite in queste donne non è sorprendente, poiché al calo ponderale non era associata alcuna riduzione della percentuale di grasso nelle cosce. È importante ricordare che la cellulite è caratterizzata da alterazioni del tessuto sottocutaneo e l’ipertrofia (esagerato aumento di dimensioni) degli adipociti gioca un ruolo chiave. La deposizione di grasso non è però l'unico fattore che concorre a questa alterazione: la stasi venosa e linfatica e le modificazioni del microcircolo, spesso dovute a sedentarietà, sono tra le principali cause». ALIMENTI - E che cosa si può dire riguardo ai singoli alimenti? Risponde l'esperta: «Gli zuccheri semplici (fruttosio e saccarosio) e i grassi saturi, se assunti in eccesso, favoriscono la proliferazione e l'ipertrofia degli adipociti, l'infiammazione e lo stress ossidativo, tutti fattori che concorrono all'insorgenza della cellulite. Anche un elevato apporto di sale è nocivo: la cellulite è di per sé caratterizzata da ritenzione idrica e il sodio la aggrava. Al contrario, è stato suggerito che diversi costituenti degli alimenti, quali l'acido ferulico del farro e del frumento integrale, i fitoestrogeni dei legumi, i capsaicinoidi dei peperoni e del peperoncino e altri, possano avere un ruolo positivo sul mantenimento del peso, regolando con diversi meccanismi la deposizione di grasso e le funzioni vascolari. Si tratta però di effetti evidenziati per lo più in studi di laboratorio, che necessitano di conferme sull’uomo. In altre parole, è bene usare questi alimenti ma nell’ambito di una dieta variata e equilibrata. E ricordare anche l'importanza di una adeguata idratazione, di evitare aumenti e fluttuazioni di peso e di praticare un'attività fisica regolare». (C. Favaro, Corriere Salute) PAGINA 3 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno II – Numero 198 SCIENZA E SALUTE GLI UOMINI? MATURANO INTORNO AI 43 ANNI Otto donne su dieci sono convinte che per il sesso cosiddetto forte diventare adulti sia un’impresa impossibile o quasi Giocare ai videogiochi, mangiare schifezze alle due del mattino, raccontare le solite barzellette, guidare auto "truccate" o non saper cucinare un uovo sono tutti, inequivocabili segnali di immaturità maschile, che in molti casi dura fino alla soglia degli "anta" e pure oltre. A tracciare l’identikit del fanciullino che c’è in ogni uomo (con tanto di lista di 30 comportamenti ad alto tasso di infantilismo) è un sondaggio condotto dal canale televisivo Nickelodeon per il lancio di "Wendell & Vinnie" (è la storia di uno scapolone impenitente che si trova a dover fare da balia a un nipote dodicenne e serioso fino all’eccesso), che conferma un dato di pubblico dominio: i maschi raggiungono l’"età della ragione" molto più tardi delle femmine, con uno scarto temporale che a volte può addirittura arrivare a undici anni (43 per i primi, 32 per le seconde). SESSO FORTE? - Un gap che spiega anche perché otto donne su dieci siano tuttora convinte che maturare per il sesso cosiddetto forte sia un’impresa impossibile al punto da costringere una su quattro a vedersi come "l’adulto del rapporto" (e il 46% addirittura come la mamma del soggetto maschile in questione), mentre un terzo ammette di aver rotto più di una relazione con un uomo ancora troppo bambino malgrado non fosse più in fasce da un pezzo, perché stufa di dovergli ripetere più di una volta al mese di crescere (la sopportazione femminile arriva fino a 14 richiami l’anno). Certo, vanno fatti gli opportuni distinguo, perché se possedere uno skateboard o dormire con un pigiama coi pupazzi fa sì ragazzino ma anche un filino di tenerezza, dare libero sfogo a flatulenze e rutti (e magari riderne pure con gli amici) o guidare con la radio a tutto volume è solo indice di maleducazione e basta e l’infantilismo acuto con cui si cerca di giustificare questi comportamenti c’entra meno di zero. IMMATURI E ORGOGLIOSI - Ma se pensate che agli uomini dia fastidio passare per eterni Peter Pan, meglio che vi ricrediate e pure in fretta, perché in realtà per loro l’etichetta è motivo di vanto: non a caso, quasi il doppio del campione si descrive "immaturo cronico" e uno su quattro "attivamente immaturo". E non è nemmeno vero che la mancanza di maturità sia sempre un difetto, come confermano quei quattro intervistati su dieci (di entrambi i sessi, va aggiunto) che la considerano fondamentale in un rapporto perché lo tiene più vivo e frizzantino e quell’uno su tre che la ritiene indispensabile per stabilire un buon legame coi bambini. Che è poi, guarda caso, il messaggio che vuole trasmettere lo show. (Salute, Corriere) PAGINA 4 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno II – Numero 198 ALIMENTI E SALUTE Settimana dei disturbi da glutine: non solo celiachia Sono sempre di più coloro che devono eliminare il glutine dalla propria dieta perché si scoprono intolleranti o sensibili a questa proteina del frumento. L'esperto: no alle diete fai-da-te Sappiamo ormai che la celiachia, ovvero l'intolleranza permanente al glutine, una proteina del grano, colpisce l'1% della popolazione. Da qualche anno però è emerso un disturbo nuovo, che presenta sintomi simili a quelli della celiachia ma senza causare una risposta sul piano immunologico e senza danni alla mucosa intestinale. È la sensibilità al glutine, che si presume essere più frequente della celiachia, interessando dal 2% al 6% della popolazione. Dal 10 al 16 giugno torna la Settimana nazionale di informazione su sensibilità al glutine e celiachia, giunta alla sua seconda edizione, promossa da DS-gluten free con il supporto scientifico di Dr. Schär Institute e il patrocinio dell'Associazione italiana di dietetica e nutrizione. È l'occasione per fare il punto sulla sensibilità al glutine non celiaca, ancora poco conosciuta e soprattutto per porre un freno alla "moda" delle diete fai-da-te. Panorama.it ha intervistato Umberto Volta, coordinatore del board scientifico dell'Associazione Italiana Celiachia, già direttore del Centro di diagnosi della celiachia del Policlinico Sant'Orsola Malpighi dell'Università di Bologna. Che cos'è la Gluten Sensitivity e come si distingue dalla celiachia?: In tutto il mondo negli ambulatori per pazienti con patologia da glutine c'erano persone con sintomi intestinali ed extraintestinali ma senza celiachia. È dal 2009 che abbiamo cominciato a occuparci di questa nuova realtà. Oggi, dopo numerosi studi, la sensibilità al glutine viene considerata molto vicina alla sindrome del colon irritabile, sia nei disturbi intestinali che nella stanchezza cronica. La sensazione è che quella di eliminare il glutine sia diventata più che altro una moda. È così? Certo assistiamo a personaggi dello sport e dello spettacolo, dal tennista Djokovic a Gwyneth Paltrow e Lady Gaga, che con le loro scelte personali alimentano la convinzione che mangiare senza glutine migliori la qualità della vita. Negli Usa stiamo assistendo a un'esplosione di prodotti gluten free sul mercato e si calcola che nel 2014 il fatturato raggiungerà i 5 miliardi di dollari. Questo è un discorso che non accettiamo, perché in assenza di disturbi non ha senso escludere il glutine dalla propria dieta. La sensibilità al glutine però è un disturbo reale. Come viene diagnosticata?: Deve esserci un quadro clinico con sintomi sia intestinali che extra-intestinali, quindi diarrea, stipsi o gonfiore addominale ma anche stanchezza, cefalea, parestesie, formicolii, dolori articolari, rash cutanei o anche anemia da carenza di ferro o malassorbimento dell'acido folico. La diagnosi comunque viene fatta sempre dopo aver escluso prima sia la celiachia sia l'allergia al grano. Non esiste un test specifico?: Non ancora, l'unico vero test diagnostico è il trial in doppio cieco con placebo: reintrodurre il glutine in chi è stato messo a dieta, senza che la persona lo sappia, alternando glutine o placebo somministrati in forma di compresse a base di amido di frumento o di riso. Se in chi ha ricevuto il glutine, cioè la compressa con amido di frumento, si registrano sintomi, ciò rappresenta la conferma della diagnosi di sensibilità al glutine. Il test è importante perché non possiamo sottovalutare l'effetto placebo della dieta: quando si rinuncia a un alimento è facile avere la generica sensazione di sentirsi meglio. Per questo occorre reintrodurre il glutine all'insaputa del paziente per capire se è davvero questa proteina la causa dei problemi. PAGINA 5 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno II – Numero 198 Non esistono dei marcatori, come gli anticorpi specifici nel caso della celiachia? L'unico test che può risultare positivo è l'anticorpo antigliadina di prima generazione, AGA IgG. Circa i 50% dei pazienti con sensibilità al glutine hanno risultati positivi in questo test e con la dieta priva di glutine questo parametro si negativizza nel giro di qualche settimana. Nella celiachia invece, dove gli AGA sono anch'essi un marcatore, rimangono positivi a lungo dopo la dieta. Inoltre nei pazienti con sensibilità al glutine non c'è l'associazione genetica tipica della celiachia. I geni DQ2 e DQ8 sono presenti solo nel 35-40% dei casi di gluten sensitivity, contro il 99% dei casi di celiachia. Eppure esiste una familiarità. La sensibilità al glutine è la sorella minore della celiachia. Valutando bene i soggetti, circa 15-20% hanno un familiare celiaco. Pur non essendoci l'espressività genetica evidentemente ci sono altri fattori predisponenti. Anche la prevalenza della sensibilità al glutine nel sesso femminile richiama quella della celiachia. Il rapporto femmine-maschi è di 2,5 a 1 per la celiachia e di 5-6 a 1 per la sensibilità. Quanto all’esordio, invece, diversamente dalla celiachia, la sensibilità al glutine è una condizione rarissima in età pediatrica, e si effettuano diagnosi anche fino a 60-70 anni. Quanto tempo dopo aver consumato glutine compaiono i sintomi della sensibilità? I sintomi compaiono quasi sempre entro 6-24 ore. Ma ci si interroga ancora sulle cause perché forse non è solo il glutine il fattore scatenante. Molti pazienti per esempio presentano anche un'intolleranza al lattosio. E una parte dei sintomi sono causati da alcuni alimenti che contengono carboidrati a catena corta fermentabili, i “FODMAP”. Sono sostanze che richiamano acqua e aria nell'intestino che si trovano in latte, legumi, verdure a foglia larga e sono contenuti in alte quantità nei cereali che hanno glutine, quindi è difficile distinguere che cosa esattamente causi alcuni dei sintomi. Una conferma indiretta del possibile coinvolgimento di altre cause viene dal fatto che in molti casi la dieta senza glutine migliora solo parzialmente i sintomi del paziente, ma non porta a una risoluzione completa. La sensibilità al glutine è una condizione "a vita" come la celiachia, oppure si può guarire? Non sappiamo ancora se è transitoria o permanente, questo resta per ora un grosso punto interrogativo. Non sappiamo neanche se, come accade con la celiachia, può predisporre a patologie autoimmuni e complicanze. Recentemente quando ho iniziato un trial o presso il mio centro ho ricontattato un centinaio di pazienti che avevano fatto parte di uno studio precedente e ho riscontrato che quasi tutti erano ancora a dieta. Alcuni avevano provato a reintrodurre il glutine ed erano stati male. Chi ha disturbi prima o poi ha la tentazione di mettersi a dieta da solo per provare a capire se sta meglio. Cosa c'è di male in questo approccio? L'autodiagnosi va evitata. Le persone con sintomi legati al glutine vanno indirizzate a un centro specialistico per una valutazione diagnostica corretta. Se dovessi dare un consiglio direi di essere molto prudenti prima di iniziare una dieta e di essere certi della diagnosi, perché è una strada di non ritorno. E questo disturbo rischia di mascherare celiachia. Un altro fenomeno molto diffuso è quello dell'intolleranza al frumento, spesso diagnosticata da naturopati o con test fatti in farmacia. Si tratta di un ennesimo disturbo nella sfera del glutine? I test delle intolleranze non hanno una base scientifica. Sono test di linfocitotossicità su prelievo di sangue che testano i linfociti del soggetto con vari alimenti. Facendoli di solito ci si trova intolleranti a moltissimi alimenti non solo al grano. Noi crediamo che le intolleranze vere siano due: la celiachia e la sensibilità al glutine da una parte e l'intolleranza al lattosio dall'altra, poi esistono le allergie da inquadrare con test opportuni. (salute, Panorama)