Anno II – Numero 266 AVVISO 1. Corso per la formazione dei lavoratori 2. Sito Ordine: raggiunti 500.000 contatti Notizie in Rilievo Prevenzione e salute 3. osteoporosi donne e' seria minaccia per societa' 4. Contrattura o stiramento? Come riconoscerli Scienza e Salute 5. Ricerca: sonno non si recupera dormendo nei weekend 6. Cancro al seno. Come funziona il "Pap-breast". Il test che ne predice il rischio con anni d'anticipo 7. 10 cose che forse non sai sul preservativo 8. Cibi bio, un'app riconosce gli additivi Martedì 15 Ottobre 2013, S. Teresa d'Avila, Ruggero Il Proverbio di Oggi ‘Ncasa d’ ‘e sunature viene a fa’ ‘a serenata? A casa dei suonatori vieni a fare la serenata? OSTEOPOROSI DONNE E' SERIA MINACCIA PER SOCIETA' Secondo un nuovo report della Int. Osteoporosis Foundation, le donne potrebbero aspettarsi di vivere più a lungo ma la loro qualità della vita sarà messa a rischio se non saranno intraprese azioni per proteggere le loro ossa dall'osteoporosi. Le donne in post-menopausa sono le più vulnerabili all'osteoporosi e alle fratture. Nel mondo, si stima che 200 milioni di donne siano colpite da osteoporosi e circa una donna su tre con oltre 50 anni soffrirà di una frattura dovuta alla malattia. Il report "Bone care for the postmenopausal woman" fornisce soluzioni per la prevenzione e la gestione delle fratture. Dato che le donne di età superiore ai 50 hanno un ruolo critico come badanti e capifamiglia all'interno della famiglia e della società, la salute delle loro ossa è una priorità per salvaguardare le generazioni future. Nel rapporto si sottolinea che, per es., negli Stati Uniti, il 43% delle badanti o degli infermieri sono donne di 50 anni o più, in Spagna il 70% delle donne di età superiore ai 65 anni si prendono cura dei loro nipoti per molti giorni l'anno e, in tutto il mondo, sono le donne con più di 50 anni che la maggior parte delle volte si assumono l'onere della cura dei genitori anziani e dei familiari disabili o malati. (Agi) RICERCA: SONNO NON SI RECUPERA DORMENDO NEI WEEKEND Dormire in abbondanza durante i weekend non e' una strategia efficace per recuperare tutti i deficit fisici causati dal sonno perduto durante i giorni lavorativi. SITO WEB ISTITUZIONALE: www.ordinefarmacistinapoli.it iBook Farmaday E-MAIL: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.; Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. SOCIAL – Seguici su Facebook –Diventa Fan della nostra pagina www.facebook.com/ordinefarmacistinapoli PAGINA 2 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno II – Numero 266 SCIENZA E SALUTE CANCRO AL SENO. COME FUNZIONA il "PAP-BREAST". Il TEST che ne PREDICE il RISCHIO con ANNI D'ANTICIPO Ce ne ha parlato Gianluca Pazzaglia, direttore del Breasting Center di Perugia, uno dei pochi medici che in Italia utilizzano questa nuova metodica, capace di svelare con decenni di anticipo qual è il pericolo che una donna sviluppi tumore alla mammella, tramite l'analisi delle secrezioni estratte dal capezzolo. Molto prima che una donna debba arrivare a trovare un nodulo duro nel proprio seno, c'è un test che potrebbe predire lo sviluppo di un tumore alla mammella. O almeno dare un'idea del rischio che corre. Si chiama Pap-Breast, è un dispositivo che analizza le secrezioni che possono fuoriuscire dal capezzolo e fornisce un profilo di rischio, che può predire lo sviluppo del tumore anche con 20 anni di anticipo. Abbiamo chiesto a Gianluca Pazzaglia, direttore del Breasting Center di Perugia e uno dei pochi medici che in Italia utilizzano il macchinario, di spiegarci come funziona e perché risulta una piccola rivoluzione nella cura del seno. COME SI FA IL TEST: “Si tratta di un'apparecchiatura che massaggia, riscalda e applica una suzione in corrispondenza del capezzolo, e in questo modo tenta di estrarre una piccola quantità di liquido. A seconda che il liquido ci sia, che contenga cellule mammarie e in base al tipo di cellule estratte si stabilisce il rischio di sviluppare cancro al seno nella vita”, ha spiegato. “In base ai primi studi effettuati oltre 25 anni fa negli USA si è visto che i profili non secretori, o secretori di tipo 0 o 1 (ovvero che presentano un liquido che non contiene cellule mammarie o le contiene in numero ristretto), hanno una possibilità di sviluppare il tumore nei successivi 20 anni molto bassa. Al contrario, i profili secretori di tipo 2, 3 e 4, che vedono la presenza di cellule particolari nel liquido prelevato, hanno un rischio maggiore di presentare la malattia. Nello specifico parliamo di un rischio doppio rispetto alle prime”. Una piccola rivoluzione, spiega Pazzaglia. “Fino ad oggi le indagini eseguibili, dalla mammaografia alla risonanza magnetica, fino alla più recente tomosintesi – che è una sorta di mammografia in 3D – potevano dare solo un quadro della situazione al momento dell'indagine, ma non offrivano la possibilità di fare previsioni a lungo termine”, ha detto. “Con il Pap-breast tutto questo cambia, e così se si riconosce un profilo ad alto rischio si può agire per ridurre il pericolo, ad esempio cambiando stile di vita o alimentazione, prescrivendo integratori specifici o intensificando la sorveglianza per la malattia, anche per le donne che non presentano una familiarità per il tumore, che ad oggi sono le uniche considerate ad alto rischio”. “Tuttavia, bisogna specificare che questo test non sostituisce gli altri metodi di indagine e gli strumenti di prevenzione come la mammografia, che continuano ad essere fondamentali”. Insomma, un test che sicuramente può essere importante dal punto di vista della prevenzione e della diagnosi. Senza però sottovalutare tutte le possibilità di studio che apre, oltre a questo. “Si potrebbe per es. comprendere se attività fisica o alimentazione possono far scendere un profilo 2 a un profilo 1, passando da un rischio alto a uno molto più basso”, ci ha detto Pazzaglia. “Tra l'altro partendo da una metodica che già sappiamo funzionare”. Chiaramente, il problema con questo tipo di studi è la mancanza di fondi. “Sono già 10 mesi che facciamo test, ma non sono riuniti all'interno di un trial, perché una sperimentazione coerente ha dei costi”. (Farmacista online) PAGINA 3 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno II – Numero 266 SCIENZA E SALUTE 10 COSE CHE FORSE NON SAI SUL PRESERVATIVO Anche gli egizi usavano i preservativi: erano sacchetti scomodi e rudimentali, e tali sono rimasti per secoli, fino all'arrivo di un medico italiano. Tra i materiali usati per la produzione ci sono il lattice, il poliuretano e il poliisoprene. Qualcosa di simile ai preservativi era già in uso dagli antichi egizi, come racconta Aine Collier. Oggi lo giudicheremmo piuttosto rudimentale: era una specie di sacchetto il cui scopo era anche quello di proteggersi da gravidanze indesiderate e malattie sessuali. Nulla a che vedere con i sofisticati "cappucci" che abbiamo a disposizione oggi, in misure diverse e materiali sempre più sottili e resistenti ma ancora abbastanza fedeli all'idea originale del condom moderno, inventato da un italiano. 1. Egizi: Nell'antico Egitto per proteggersi da scottature, sabbia, morsi di insetti gli uomini sotto la gonna indossavano una specie di sacchetto per il pene, tenuto da una striscia di stoffa. Tra gli uomini di rango, però, era diffuso un preservativo per il glande, una piccola guaina che copriva solo la punta del pene, ricavata dagli intestini degli animali. Secondo A. Collier, era indossato solo quando si faceva sesso. 2. Medioevo: Il preservativo e i suoi antenati nella storia hanno goduto di alterne fortune: nel medioevo, per es., fu bandito perché era ritenuto un mezzo per il controllo delle nascite. 3. Colombo, Napoli e il mondo.: I mercenari al seguito di Cristoforo Colombo e degli altri conquistadores alla scoperta delle Americhe, tornati in patria manifestarono una strana malattia, identificata come "morbillo degli indiani", che portarono con sé sui campi di battaglia, da Napoli alla Scozia fino alla Polonia, alla Turchia e all'oriente. In seguito la malattia prese il nome di sifilide ed è per arginarne la diffusione che nel 1500 si cominciano a utilizzare degli speciali guanti di stoffa per il... pene. 4. Made in Italy: È lo studioso di anatomia Gabriello Falloppio (1523-1562), noto per aver scoperto le tube dell’apparato genitale femminile, a introdurre per primo in medicina il moderno preservativo come argine alle malattie veneree: «ogni volta che un uomo ha un rapporto sessuale - scrive - dovrebbe utilizzare un piccolo panno di lino avvolto al glande, e trarre in avanti il prepuzio sul glande [...] Ho provato l’esperimento su 1100 uomini, e chiamo Dio immortale a tesEmoniare che nessuno di loro è stato infettato». 5. Casanova: Nella sua Autobiografia, intorno al 1789, Casanova parla del rendigote d’Anglaise, un antenato del moderno profilattico. "Era probabilmente all’oscuro del fatto che il preservativo non fosse un’invenzione inglese, ma italiana", scrive la Collier in Storia del preservativo. 6. Vasta scelta: Per lungo tempo i preservativi sono stati realizzati con budella di animali messe a bagno in acqua per ore e poi a macerare in una soluzione alcalina: il processo durava uno o due giorni. I preservativi con le interiora di agnello si producono ancora oggi, seppure in modo diverso, ma non sono molto usati. Col tempo gli sono stati preferiti quelli in lattice, in poliuretano (anallergici) e in poliisoprene, un nuovo materiale che si adatta alla pelle. 7. Uso del preservativo: Secondo il sito Goaskalice, che fornisce informazioni di educazione sessuale agli studenti della Columbia University, esistono due tipi di usi del preservativo. L'uso tipico e l'uso perfetto. Nel corso di un anno di utilizzo tipico del condom, tra 10 e 15 donne sessualmente attive su 100 resteranno in gravidanza. Nel corso di un anno di uso perfetto del condom il numero scende a 2-3 su 100. Le stesse percentuali si riscontrano nella trasmissione del virus dell'HIV tra coppie eterosessuali sierodiscordanti (ossia in cui un partner è sieropositivo e l'altro sieronegativo). L'uso perfetto prevede che il condom sia conservato in luogo fresco, che sia indossato dopo essersi accertati che sia sano, non scaduto o deteriorato, e che venga srotolato con cura sul glande, senza scalfirlo con le unghie. PAGINA 4 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno II – Numero 266 8. Uno è meglio di due: Su Goaskalice si legge anche che indossare due preservativi assieme (double bagging) non solo non serve, ma è controproducente. "Utilizzare due preservativi maschili contemporaneamente non è raccomandato per la prevenzione della gravidanza o come metodo di sesso sicuro". Infatti il "doppio insaccamento" può aumentare l'attrito tra i preservativi durante il rapporto, facendoli rompere. Vale anche per l'utilizzo combinato di un preservativo maschile e di uno femminile. 9. La taglia dei preservativi: Anche i preservativi, come i jeans, obbediscono a taglie universali. Si tratta di taglie standard, naturalmente, e le misure dipendono anche dalla forma anatomica del pene: il consiglio è quello di provarne diversi per capire quale veste meglio (il preservativo perfetto non si deve sfilare e non dev'essere troppo stretto). Le taglie dei preservativi non si basano sulla lunghezza del pene, ma sulla circonferenza. Sono XS (70 - 90 mm), S (90 - 105 mm), M (105 - 120 mm), L (120 135 mm), XL (135 - 150 mm) e XXL (150 - 170 mm) 10. No oil: I preservatavi possono avere bisogno di lubrificazione supplementare, ma non va usata alcuna sostanza oleosa (olii, vasellina, creme per le mani), in quanto l'olio potrebbe sciogliere il preservativo. Meglio piuttosto un lubrificante a base d'acqua. (Focus) CIBI BIO, UN'APP RICONOSCE GLI ADDITIVI L'app sbarca nel mondo del biologico. Icea, l'Istituto certificazione etica e ambientale, ha infatti messo a punto un programma che permette a chiunque di valutare il grado di naturalità di un prodotto alimentare o cosmetico. Si chiama Icea Check, è scaricabile gratuitamente sul sito web dell'Istituto e rende semplice per tutti riconoscere, al momento dell'acquisto, il carattere biologico di un prodotto valutando gli ingredienti presenti nell'etichetta. Un buon indicatore di quanto un alimento industriale sia vicino ai requisiti della certificazione bio è il contenuto in additivi, come conservanti, coloranti e aromi. Tra le centinaia che la legge autorizza nella produzione degli alimenti e che l'autorità europea tiene sotto costante osservazione, il severo regolamento della produzione biologica ne ammette solo poche decine, quelli strettamente indispensabili. Inserendo negli appositi spazi il nome degli additivi alimentari contenuti nel prodotto acquistato (acido citrico, pectina ecc), Icea Check lo assegna ai «buoni» o ai «cattivi». I «buoni», visualizzati in verde, sono quelli ammessi dal Reg. CE 834/07 per la produzione biologica. Tutti gli altri, evidenziati in rosso, pur essendo a norma di legge, vengono evitati dalle aziende più sensibili ai bisogni dei consumatori. Icea Check fa lo stesso con i cosmetici: riconosce ognuna delle quasi 9000 sostanze, in costante aggiornamento, registrate nell'inventario europeo degli ingredienti utilizzabili dall'industria cosmetica (Inci). Per facilitare l'inserimento ed evitare errori di trascrizione è il programma stesso a suggerire i nomi degli ingredienti corrispondenti alle prime lettere digitate. Anche in questo caso quando si dà il via al processo di valutazione, la app evidenzia gli ingredienti eco e dermocompatibili, i meno impattanti sull'ambiente e meno tossici, che non producono effetti indesiderati sul corpo umano (come invece fanno i «rossi» petrolio, petrolati, parabeni ecc). (Salute, Il Mattino) PAGINA 5 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno II – Numero 266 PREVENZIONE E SALUTE CONTRATTURA O STIRAMENTO? COME RICONOSCERLI Nel primo caso la sofferenza è poco localizzata e si avverte un irrigidimento muscolare anche a distanza Le lesioni muscolari sono all’ordine del giorno in chi pratica attività fisica a qualsiasi livello. Almeno il 25-30% degli infortuni sportivi sono rappresentati da contratture, stiramenti o strappi, cioè lesioni delle fibre muscolari, diverse per l’entità del danno. «La contrattura si verifica quando il tessuto muscolare viene sollecitato oltre il suo limite di sopportazione fisiologico, inducendolo così a contrarsi involontariamente: le fibre muscolari non si rompono, ma c’è solo un’alterata capacità contrattile - spiega Gianfranco Beltrami, medico dello sport, docente del corso di laurea in Scienze Motorie dell’Università di Parma -. In caso di stiramenti, invece, il muscolo si allunga in modo eccessivo, sempre senza lacerarsi. La rottura, più o meno estesa, delle fibre muscolari caratterizza infine lo strappo. Il confine tra stiramento e strappo è labile: l’ecografia può aiutare a dirimere i dubbi». Quali sono i sintomi? : «Dolore mal localizzato e irrigidimento muscolare, anche a distanza, fanno pensare a una contrattura. In caso di stiramento, il dolore si avverte sempre nel corso dell’attività e, di solito, si riesce a capire bene il punto interessato. Nonostante il fastidio, si è in grado di proseguire l’attività e questo è un problema perché così lo stiramento può degenerare in strappo. Lo strappo, infine, causa un dolore acuto molto violento. Maggiori sono le fibre lacerate, più importanti sono i sintomi. Al dolore possono infatti aggiungersi incapacità e impotenza funzionale ed ematomi, più o meno estesi». Come si deve intervenire? : «Se si avverte un dolore muscolare verosimilmente imputabile a una contrattura o a uno stiramento, durante (o poco dopo) l’attività fisica, bisogna subito interrompere l’esercizio e stare a riposo. Il ghiaccio è un valido alleato, a patto di usarlo in modo corretto, il che significa applicarlo sull’area interessata per 3 minuti, toglierlo per 1 minuto, ripetendo queste manovre per 5 volte, ogni 2 ore. Se il dolore persiste il medico può suggerire farmaci antinfiammatori e miorilassanti. Nel caso di strappi l’obiettivo della terapia è limitare le conseguenze per prevenire danni futuri. Le fibre muscolari hanno scarso potere di rigenerazione e la riparazione avviene con la formazione di tessuto cicatriziale, le cui proprietà elastiche sono inferiori a quelle del normale tessuto muscolare. Per favorire una cicatrizzazione ottimale bisogna seguire uno schema corretto, pena il rischio di ricadute future. Per prima cosa bisogna applicare il metodo REST , ovvero: riposo, ghiaccio, compressione ed elevazione dell’area interessata. Passati un paio di giorni, per rendere la cicatrice elastica e prevenire aderenze, si può ricorrere ad alcune terapie fisiche (laserterapia, ultrasuoni e tecarterapia). L’ultimo step consiste nel rinforzare il muscolo e migliorarne l’elasticità con una riabilitazione adeguata. Solo dopo aver terminato questa fase si può riprendere il proprio sport». Che cosa si può fare sul piano della prevenzione? : «Riscaldarsi e fare stretching prima di iniziare l’attività sportiva vera e propria; al termine, dedicare alcuni minuti al defaticamento e quindi concludere con altri esercizi di allungamento». (Salute, Corriere della Sera)