Anno II – Numero 273 Notizie in Rilievo Prevenzione e salute Giovedì 24 Ottobre 2013, S. Raffaele Il Proverbio di Oggi ‘A altare sgarrupàto nun s'appicciano cannèle. Alle donne ormai anziane non si fanno moine 1. Una proteina del latte materno protegge dall’Aids i neonati figli di donne sieropositive 2. Fitness: suonare durante la ginnastica riduce lo sforzo fisico 3. Resveratrolo attivo anche contro la demenza Scienza e Salute 4. Meglio un uovo oggi o una gallina domani? Come il cervello resiste alle tentazioni 5. Capelli: i bagni di ossigeno 6. Migliorano le prospettive per i pazienti con tumori del sangue Alimenti e Salute 7. Maqui, il cibo antiage numero uno 8. Meglio un uovo oggi o una gallina domani? Come il cervello resiste alle tentazioni Siete capaci di rimandare una soddisfazione immediata in cambio di una ricompensa futura? Se sì, è tutto merito del vostro ippocampo. Meglio una pizza da asporto stasera o una cena fuori nel week-end? Una gita economica a breve, o una vacanza a Parigi tra sei mesi? Capita spesso di dover decidere se indulgere a un piccolo piacere nell'immediato, o resistere in cambio di una lauta ricompensa più in là nel tempo. Perché alcune persone riescono a stringere i denti e aspettare, mentre altre preferiscono accontentarsi di poco, ma subito? La nostra capacità di resistere alle tentazioni dipenderebbe da alcune aree cerebrali che regolano la memoria, e in particolare dall'ippocampo, come dimostra una ricerca del Brain and Spine Institute di Parigi appena pubblicata su PLOS Biology. Uno sforzo di immaginazione: Capire come il cervello gestisca le scelte intertemporali è di cruciale importanza per coloro che lavorano a campagne di prevenzione contro i danni da fumo e alcol (meglio bere un bicchiere ora o guadagnarci in salute in futuro?) o per le compagnie assicurative. Recenti studi basati sull'imaging cerebrale hanno mostrato come, nella decisione di aspettare in cambio di un più sostanzioso tornaconto, sia coinvolta la porzione dorsolaterale della corteccia prefrontale - una regione implicata nel controllo del comportamento. «Questo paradigma però non spiega un aspetto fondamentale del nostro vissuto quotidiano» commenta Mathias Pessiglione, tra gli autori dello studio «e cioè che mentre le ricompense immediate sono percepibili attraverso i nostri sensi, quelle future non lo sono e devono essere rappresentate con l'immaginazione». SITO WEB ISTITUZIONALE: www.ordinefarmacistinapoli.it iBook Farmaday E-MAIL: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.; Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. SOCIAL – Seguici su Facebook –Diventa Fan della nostra pagina www.facebook.com/ordinefarmacistinapoli PAGINA 2 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno II – Numero 273 ALIMENTI E SALUTE MAQUI, IL CIBO ANTIAGE NUMERO UNO Il super mirtillo che cresce in Patagonia è una miniera di antiossidanti Sembrano normali mirtilli neri, ma contengono sostanze che li rendono dei super mirtilli. Sono le bacche del maqui, un albero che cresce in Patagonia: la grande quantità di delfinidine, gli antiossidanti più efficaci in natura, lo rendono il cibo antiage numero uno. I suoi effetti di contrasto all’invecchiamento cellulare lo rendono molto superiore ad altri alimenti ad alto contenuto di polifenoli, che sono gli antiossidanti tipici dei vegetali, come i mirtilli neri europei . Cos'è: Il maqui (Aristotelia chilensis) è un arbusto sempreverde che cresce in Patagonia, e può raggiungere i cinque metri di altezza. Il suo frutto ha un sapore naturalmente dolce. In Italia non è in vendita nel suo stato originario, ma si trova contenuto in succhi, infusi e integratori che ne conservano le qualità antiossidanti e antiage. Proprietà: La bacca di maqui è ricca di un particolare gruppo antiossidanti, i polifenoli della classe della famiglia degli antociani, le delfinidine, che sono considerati i più efficaci tra i polifenoli poiché idrosolubili e quindi maggiormente biodisponibili. «Il maqui rispetto ad altri frutti, come ad esempio l’uva o i mirtilli e in generale tutti i frutti di colorazione blu scura, contiene più antocianine perché ne è ricca non solo la buccia, ma anche la polpa», spiega A. Sensidoni, prof. ordinario di scienze e tecnologie alimentari all’Università di Udine. Insomma il maqui è considerato un elisir di giovinezza. «Il potere antiossidante delle delfinidine assicura alle cellule un effetto antiage», spiega Antonello Sannia, docente al corso di fitoterapia presso le Univ. di Siena e Pavia e presidente della Società italiana di medicina naturale, «ma aiuta anche contro l’aterosclerosi e più in generale per contrastare i radicali liberi responsabili dell’invecchiamento e delle lesioni delle membrane cellulari». Non solo. Nicola Sorrentino, professore di dietologia all’Università di Pavia, aggiunge che, «come il mirtillo, le bacche di maqui sono ricche di principi attivi utili per mantenere in buona salute l’apparato venoso». Inoltre nel maqui si trovano in abbondanza vitamina B5 e vitamina E. Come e quanto: Nonostante l’arbusto raggiunga anche notevoli dimensioni, è in grado di produrre solo 10 chilogrammi di bacche in sette anni. Ecco perché, a differenza di altri alimenti simili (come le bacche di goji, di acai o degli stessi mirtilli neri), in Italia non è possibile trovarle intere, fresche o secche, ma solo come ingrediente fondamentale di integratori, succhi e infusi, tutti disponibili in farmacia ed erboristeria e da assumersi secondo le indicazioni di un medico. Avvertenze: Trattandosi di un alimento naturale, non ci sono particolari controindicazioni. «Il maqui agisce immediatamente sulla qualità della nostra salute: siamo in un contesto nutrizionale di prevenzione ma anche di benessere reale», conferma Giovanni Scapagnini, professore associato di biochimica clinica all’Università del Molise. È in ogni caso da evitare l’assunzione nei bambini e durante gravidanza e allattamento. (OK Salute e benessere) PAGINA 3 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno II – Numero 273 SCIENZA E SALUTE CAPELLI: I BAGNI DI OSSIGENO Il segreto di Madonna per una chioma forte e lucente Anche in Italia arriva la moda dei bagni di ossigeno e ozono per i capelli. La prima a lanciare l'ossigenoterapia è stata Madonna, giurando che i suoi capelli erano diventata più morbidi e setosi. Sarà vero? «Ebbene sì, ossigeno e ozono stimolano il microcircolo a livello del cuoio capelluto», spiega Marianno Franzini, docente di ossigenoozonoterapia all'Università di Pavia). «Il risultato? Capelli più lucenti e più forti. Dopo l'impiego anticellulite, ma anche per le ulcere e l'ernia del disco, l'ossigeno-ozonoterapia si sta affermando in campo tricologico. Anche perché, a livello sperimentale, stiamo ottenendo buoni risultati nel frenare la caduta dei capelli causata da stress, fattori ormonali o stagionali». Come si effettua il trattamento? «I capelli vengono incappucciati dal dermatologo specializzato in ossigeno-ozonoterapia con un sacchetto al quale è collegato il tubo di una macchina che produce e riversa ossigeno e ozono», risponde Franzini. «La seduta, totalmente indolore, dura circa venti minuti e costa circa 40-50 euro. Per vedere i primi risultati, però, bisogna farne dalle otto alle dodici». (OK, Salute e Benessere) Una proteina del latte materno protegge dall’Aids i neonati figli di donne sieropositive Nel 20011 330 mila bambini nel mondo hanno contratto l’Hiv in gravidanza o durante l’allattamento Una proteina del latte materno potrebbe essere la chiave per proteggere i neonati di madri sieropositive dal contrarre il virus dell’Hiv durante l’allattamento. Ad identificare per la prima volta la sostanza, una sorta di scudo che difende i piccoli dalla possibilità di essere infettati delle mamme, è uno studio pubb. sulla rivista Pnas. La proteina, chiamata Tenascin-c o Tnc , era già conosciuta per avere un ruolo nella guarigione delle ferite, ma fino ad oggi nessuno studio ne aveva evidenziato le proprietà antimicrobiche. Ora la scoperta degli scienziati americani potrebbe portare a nuove strategie per la prevenzione dell’infezione da Hiv. I DATI - Secondo lo studio la proteina Tnc, presente nel latte materno, neutralizzerebbe il virus Hiv e proteggerebbe i neonati esposti al rischio di infezioni durante l’allattamento. Nel 2011, secondo i dati dell’Unicef, in tutto il mondo 330 mila bambini hanno contratto l’Hiv durante la gravidanza o l’allattamento al seno da madri sieropositive. Per questo negli ultimi anni molte organizzazioni sanitarie internazionali hanno fissato un obiettivo: eliminare le infezioni da madre a figlio. Per questo risultato si stanno sviluppando cure alternative, sicure e convenienti, per sviluppare una terapia antiretrovirale «ad hoc» che può essere utilizzata per bloccare la trasmissione dell’Hiv ai neonati. «Anche se abbiamo già farmaci antiretrovirali che agiscono per impedire la trasmissione del virus da madri sieropositive ai figli - sottolineano i ricercatori - non tutte le donne in dolce attesa fanno il test dell’Hiv e meno del 60% riceve queste terapie preventive in caso di gravidanza. Uno scenario molto comune soprattutto nei paesi con poche risorse da destinare alla lotta all’Aids». COME AGISCE LA PROTEINA - Gli scienziati hanno descritto come la Tnc interagisce contro l’Hiv bloccando l’entrata del virus nell’organismo del bebè. (Salute, Corriere) PAGINA 4 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno II – Numero 273 MIGLIORANO LE PROSPETTIVE PER I PAZIENTI CON TUMORI DEL SANGUE Farmaci innovativi e nuove opportunità di trapianto usando come donatori genitori, figli o fratelli compatibili solo a metà «Oggi alcune forme di leucemia acuta guariscono in circa l’80% dei pazienti; il linfoma di Hodgkin in circa il 90; la forma più frequente di linfoma aggressivo, il linfoma diffuso a grandi cellule B, in oltre la metà dei casi. E poi i nuovi trattamenti per il mieloma hanno raddoppiato la durata della risposta alle cure con una sempre migliore qualità di vita; i malati di leucemia mieloide cronica, che avevano una sopravvivenza media di circa cinque anni, con l’unica eccezione dei pochi casi che potevano essere guariti con il trapianto di midollo osseo, convivono oggi senza problemi con la loro malattia, con la prospettiva di invecchiare come tutti». Così G. Pizzolo, dir. dell’Unità di Ematologia dell’Azienda Ospedaliero Univ. di Verona, sintetizza gli importanti progressi fatti contro i tumori del sangue, di cui si registrano circa 36.500 nuovi casi ogni anno nel nostro Paese. MIX DI CURE - «Sono molte le forme di tumore del sangue ed eterogenee fra loro per caratteristiche biologiche, decorso clinico, prospettive di guarigione, approcci diagnostici, complessità delle cure -. Grazie agli straordinari risultati della ricerca, sono state messe a punto negli ultimi anni nuove e più efficaci strategie terapeutiche che hanno portato, per alcune tipologie di neoplasie, prospettive di guarigione e il prolungamento della sopravvivenza a risultati impensabili». Si tratta spesso di soluzioni complesse che si basano, in molti casi, su un mix dei vari trattamenti disponibili: dal trapianto di cellule staminali emopoietiche a nuove categorie di farmaci biologici (capaci di eliminare selettivamente le cellule malate interagendo con particolari strutture che ne regolano la crescita e l’espansione), dalla radioterapia fino a un migliore utilizzo di vecchi e nuovi chemioterapici. EFFETTI COLLATERALI - Nel caso del linfoma di Hodgkin, ad es., si interviene con la polichemioterapia convenzionale. «I pazienti si ammalano solitamente in età molto giovane, spesso inferiore ai trent’anni, e la necessità nei casi più avanzati di utilizzare protocolli sequenziali di chemioterapia e radioterapia molto intesivi può avere un impatto rilevante sulla fertilità o può predisporre all’insorgenza di seconde neoplasie o danni di tipo cronico del sistema cardio-respiratorio dice Fabrizio Pane, resp. della divisione di Ematologia dell’università Federico II di Napoli -. Sono stati però presentati una serie di studi sull’impiego di una nuova molecola farmacologica appartenente alla classe degli anticorpi monoclonali. L’anticorpo monoclonale in questione (Brentuximab Vedotin) contiene un chemioterapico che viene diretto solo alle cellule malate, risparmiando i tessuti normali, consentendo di recuperare alla risposta completa una percentuale molto ampia di soggetti resistenti alla prima linea di trattamento, senza ricorrere ad ulteriore polichemioterapia. Risparmiando così tossicità ed effetti collaterali di lungo termine». COMPATIBILI A METÀ - Tra i linfomi di tipo non-Hodgkin, ha dimostrato invece notevole efficacia un «vecchio» chemioterapico, utilizzato con modalità innovative, la bendamustina. Per i pazienti che ricadono o che non ottengono una risposta completa, la chemioterapia ad alte dosi, seguita da autotrapianto di cellule staminali, rappresenta ora l’approccio terapeutico standard, con il vantaggio che la cura così strutturata può risultare eradicante anche nel paziente molto anziano. Infine, nei casi più gravi di leucemia e di linfomi aggressivi, una risposta terapeutica viene dal trapianto di tipo aploidentico. «Sinora - nel trapianto da donatore familiare la scelta era ristretta al fratello o la sorella del paziente che mostravano compatibilità completa. Ma tra fratelli la possibilità a priori di essere del tutto compatibili è del 25% e la progressiva riduzione del tasso di natalità osservata negli ultimi decenni in Italia ha ridotto la probabilità di trovare un donatore nella famiglia del paziente. Ecco perché la possibilità di utilizzare genitori, figli o fratelli compatibili al 50% consente di allargare moltissimo la platea dei possibili donatori per i pazienti affetti dalle forme gravi di tumori del sangue». PAGINA 5 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno II – Numero 273 PREVENZIONE E SALUTE FITNESS: SUONARE DURANTE LA GINNASTICA RIDUCE LO SFORZO FISICO Lo rivela uno studio condotto da alcuni ricercatori tedeschi, che sottolinea come il semplice ascolto della musica non abbia gli stessi risultati Fare musica durante gli allenamenti in palestra riduce notevolmente la percezione dello sforzo fisico. Lo rivela uno studio condotto da alcuni ricercatori tedeschi, che sottolinea come il semplice ascolto della musica non abbia gli stessi risultati. Il team di scienziati, guidati da Thomas Hans Fritz, un neurologo del Max Planck Institute for Human Cognitive and Brain Sciences di Lipsia, in Germania, ha collegato tre macchine per gli esercizi fisici a un computer, in grado di 'comporre' e suonare musica elettronica basandosi sullo sforzo fisico di alcuni volontari non atleti, persone normali che frequentano le palestre per tenersi in forma. Il processo, che Fritz chiama 'jymming' (incrocio tra jamming e gym), ha fatto scoprire ai ricercatori che i volontari che facevano musica durante gli allenamenti, manifestavano una minore stanchezza rispetto a quelli che semplicemente la ascoltavano preregistrata. Fare musica, ha ipotizzato Fritz, ha fatto usare loro i muscoli in modo più efficace, perché l'emotività, accentuata dal produrre musica, ha ridotto l'attività dei muscoli antagonisti, quelli cioè che si oppongono all'azione di altri muscoli. "Sono stati in grado di realizzare di più con meno ossigeno", ha detto Fritz. Gli effetti positivi del fare musica durante l'allenamento sono apparsi dopo pochi minuti di esercizio fisico, durante i quali sono state liberate grandi quantità di "ormoni della felicità". I risultati della ricerca, che aiutano a capire il potere della musica, sono stati pubblicati negli Atti della National Academy of Sciences degli Stati Uniti. (Adnkronos Salute/Dpa) RESVERATROLO ATTIVO ANCHE CONTRO LA DEMENZA Il noto antiossidante contenuto nell’uva rossa è stato trovato essere attivo contro una proteina legata all’insorgere della malattia di Alzheimer Il resveratrolo contenuto in buone quantità nella buccia dell'uva rossa pare possa essere d'aiuto nel controllo della malattia di Alzheimer e la demenza. Ancora buone notizie legate all’antiossidante per eccellenza, noto con il nome di resveratrolo, contenuto in buone quantità nella buccia dell’uva rossa. Secondo un nuovo studio sarebbe infatti attivo nel controllo della proteina ApoE4 che trasporta il colesterolo. Questa proteina, che si trova dalla nascita in circa un quarto delle persone, è legata a un mistero: il come e perché ApoE4 sia causa del rischio di sviluppare la malattia neurodegenerativa a tutt’oggi incurabile. Gli scienziati ritengono che la proteina ApoE4 sia un fattore genetico di rischio per l’insorgere della malattia di Alzheimer. Difatti, in circa due terzi delle persone che sviluppano la malattia è presente proprio questa proteina. (La Stampa)