Anno III – Numero 399 Notizie in Rilievo Martedì 29 Aprile 2014, S. Caterina da Siena Proverbio di oggi…….. oggi…….. Chillo comme se galleja. (Quello fa il galletto!) Scienza e Salute 1. Presto un soffio nel cellulare farà scoprire se si ha il cancro 2. Messo a punto un anello vaginale anti Hiv e anticoncezionale 3. In gravidanza crescono i piedi? Prevenzione e Salute 4. L’aneurisma dell’aorta addominale 5. Dimmi come dormi e ti dirò che male hai Scopri la posizione anti invecchiamento Farmaci e Salute 6. Un vecchio antinfiammatorio può aiutare nella cura dell’amiloidosi 7. L’aspirina riduce il rischio di cancro al colon del cinquanta per cento. PRESTO UN SOFFIO NEL CELLULARE FARÀ SCOPRIRE SE SI HA IL CANCRO Grazie a un'app si potrà individuare la patologia nel colon Basterà un soffio nel cellulare per scoprire se si ha il cancro. E in un futuro non troppo lontano. Gli scienziati dicono che si dovranno aspettare solo due anni. E' già stato sviluppato un prototipo funzionante ma adesso gli esperti sono al lavoro per miniaturizzare la tecnologia e far sì che il dispositivo possa essere incluso in un telefonino. Servono solo i soldi - "Per realizzarlo ci vogliono due anni. Bisogna solo trovare l'investimento". Uno strumento che potrebbe essere fondamentale per la diagnosi precoce. Il cuore della tecnologia è un microchip, grande quanto un'unghia, che può essere programmato per "odorare" qualsiasi sostanza chimica. Ha una sensibilità che gli permette di identificare le sostanze a concentrazioni molto basse. Negli scorsi anni, il dispositivo "Lonestar", che sembra un tablet con un tubo per analizzare il respiro, è stato testato su differenti marker della patologia. I ricercatori l'hanno utilizzato per discriminare tra le persone sane, quelle con una da quelle affette da colite e da quelle con il cancro al colon. MESSO A PUNTO UN ANELLO VAGINALE ANTI HIV E ANTICONCEZIONALE Il dispositivo rimane efficace per novanta giorni E' stato messo a punto un anello vaginale capace di rilasciare sia un contraccettivo che un farmaco anti Hiv. L'apparecchio permette quindi di prevenire l'infezione da Hiv e l'herpes, mettendo al riparo da gravidanze indesiderate. In attesa dei test clinici - L'anello ha dimostrato la sua efficacia nei test condotti su primati ed entrerà presto in sperimentazione clinica su donne. Oggi sono già in uso anelli contraccettivi che si inseriscono in vagina e rilasciano l'anticoncezionale. Ma l'anello di Kiser rilascia in contemporanea dosi di tenofovir (farmaco antiretrovirale) e levonorgestrel (contraccettivo). L'anello rimane efficace per 90 giorni e le dosi rilasciate sono minori di quelle che dovrebbero essere assunte per bocca. (Salute, Tgcom24)i SITO WEB ISTITUZIONALE: www.ordinefarmacistinapoli.it iBook Farmaday E-MAIL: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.; Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. SOCIAL – Seguici su Facebook –Diventa Fan della nostra pagina www.facebook.com/ordinefarmacistinapoli PAGINA 2 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno III – Numero 399 PREVENZIONE E SALUTE L’ANEURISMA DELL’AORTA ADDOMINALE Quando compare un dolore violento alla parte bassa della schiena e al ventre non c’è tempo da perdere: la dilatazione di una grande arteria a rischio di rottura L’aneurisma dell’aorta addominale è una dilatazione permanente di quest’arteria, che ne indebolisce la struttura, e la cui rottura causa almeno 6 mila morti in Italia. Più del 50% di chi ne è colpito non arriva neppure in ospedale e solo circa il 50-60% di chi è operato in urgenza riesce a salvarsi. Se invece si riesce a programmare un’operazione preventiva la mortalità cala drasticamente. «Le cause dell’aneurisma dell’aorta addominale non sono chiare — spiega Bruno Palmieri, responsabile del Centro di Riferimento per la chirurgia dell’aorta dell’Ospedale Niguarda di Milano — ma questa malattia dei vasi arteriosi è più comune in chi soffre di arteriosclerosi. Non solo, esistono alcune malattie degenerative della parete aortica, come la sindrome di Marfan, quella di Ehler-Danlos e altre malattie del connettivo, che favoriscono lo sviluppo di queste dilatazioni». Come si riconoscono? «In rari casi è possibile palpare al centro dell’addome una massa pulsante. Purtroppo, però, in oltre il 90% dei casi, non esistono campanelli d’allarme, fino a quando l’aneurisma è intatto. La comparsa di dolori addominali o disturbi legati a embolie periferiche, dovute al distacco di piccoli trombi dalla sacca aneurismatica, preludono a un’imminente rottura. Infine, quando il dolore diventa molto violento alla parte bassa della schiena e all’addome è possibile che la rottura stia avvenendo o sia già evidente, e quindi non c’è tempo da perdere, bisogna andare in ospedale immediatamente». Che cosa si può fare? «Gli aneurismi dell’aorta addominale possono essere trattati con una terapia medica, basata sul controllo dell’ipertensione, dell’ipercolesterolemia e il monitoraggio ecografico ogni 6-12 mesi, quando sono di piccole dimensioni (meno di 5 cm), ma quelli con un diametro superiore o in rapido accrescimento devono essere trattati chirurgicamente, per prevenire la rottura. In linea generale il rischio di rottura è tanto più alto quanto è più grande l’aneurisma, ma ciò non significa che aneurismi piccoli non possano rompersi, se hanno particolari caratteristiche morfologiche. Il rischio di rottura di un aneurisma con dimensioni comprese tra i 4 e i 5 cm si aggira intorno all’1% all’anno. Le attuali possibilità tecniche di correzione preventiva dell’aneurisma sono due: l’approccio chirurgico tradizionale a cielo aperto il trattamento endovascolare, meno invasivo. Entrambi offrono ottimi risultati sia immediati sia a distanza. Sono, però, gravati da una certa mortalità operatoria, compresa tra 2-5% per la chirurgia aperta e tra lo 0,7-1,5 % per la tecnica endovascolare. Nella scelta tra i due approcci si deve tener conto delle caratteristiche anatomiche dell’aneurisma, ma anche dell’età, delle condizioni di salute generale: ad es., una cardiopatia o un’insufficienza respiratoria associata, possono aggravare il rischio chirurgico e quindi la sua capacità di sopportare un’operazione più o meno invasiva». (Salute, Corriere) PAGINA 3 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno III – Numero 399 FARMACI E SALUTE UN VECCHIO ANTINFIAMMATORIO PUÒ AIUTARE NELLA CURA DELL’AMILOIDOSI Il diflunisal, usato in passato per i dolori reumatici, ha dato risultati incoraggianti nel rallentare la progressione della malattia Un vecchio antinfiammatorio efficace nella cura di una rara e grave malattia neurologica, un medicinale messo al bando per molti anni a causa dei rischi di malformazioni protagonista della terapia di un tumore del sangue. Quello del riutilizzo di farmaci già esistenti per curare malattie diverse da quelle per le quali erano nati è un campo in cui i ricercatori hanno iniziato a muoversi da pochi anni, ma che sembra destinato a riservare non poche sorprese, anche perché i National Institutes of Health statunitensi hanno promosso e finanziato un programma che si propone proprio di studiare nuove possibili indicazioni di molecole già esistenti. L’ultimo successo è di pochi giorni fa, pubblicato su JAMA, la prestigiosa rivista dell’associazione dei medici americani: si è dimostrato che il diflunisal, un farmaco nato parecchi anni fa per curare i dolori reumatici, è in grado di arrestare la progressione di una rara malattia (una forma di amiloidosi) che produce un gravissimo danno a carico dei nervi. PROTEINA DISSOCIATA - «Tutto è partito dall’osservazione che in questo tipo di amiloidosi gioca un ruolo fondamentale la dissociazione di una particolare proteina prodotta dal fegato (la transtiretina) che ha normalmente il compito di trasportare la vitamina A e, in piccola misura, un ormone della tiroide». In questi malati, a causa di un errore genetico, questa proteina tende a dissociarsi, dando origine alla formazione di fibrille che vanno a depositarsi nei nervi, danneggiandoli gravemente. L’idea è stata quella di trovare qualcosa che “cementasse” la proteina impedendole così di dissociarsi e di iniziare il processo di formazione delle fibrille e il conseguente danno ai nervi. Alcuni si sono mossi alla ricerca di farmaci nuovi, trovandoli, altri hanno cercato di vedere se fra i medicinali esistenti ce n’era qualcuno che potesse essere adatto allo scopo. Si è così scoperto che un vecchio antinfiammatorio, il diflunisal, era fra i più efficaci. I VANTAGGI DEI VECCHI FARMACI - Da qui la decisione di sperimentarlo nei malati: «Sono stati studiati 130 pazienti con questa forma di amiloidosi familiare con polineuropatia in stadio avanzato spiega il ricercatore -. Il farmaco ha permesso di ottenere un successo su tutta la linea: ha ridotto la progressione della neuropatia, migliorato lo stato di benessere e la qualità di vita». Un successo che è ancor più importante se si considera che rappresenta anche un’ulteriore conferma della validità di questo tipo di approccio, il riutilizzo con nuove indicazioni di farmaci esistenti. Un approccio che ha una serie di vantaggi: «Il primo e più ovvio è che si tratta di farmaci già disponibili, il secondo è che tutti gli studi condotti nelle fasi di sviluppo di un farmaco sono già stati eseguiti: sono medicinali che spesso hanno una lunga vita alle spalle e di cui sono quindi noti i possibili effetti indesiderati. C’è poi l’aspetto dei costi: essendo già in commercio da tempo di solito hanno prezzi inferiori rispetto ai nuovi». UN LUNGO ELENCO - Un altro vantaggio da non sottovalutare è quello dei tempi: «Oggi il tempo medio di sviluppo di un nuovo farmaco è superiore ai 10 anni; qui, se i dati sperimentali sono buoni, si esegue lo studio e in pochi anni la terapia è disponibile per tutti a prezzi accettabili». Si comprende dunque perché tanto interesse per questo settore di ricerca. L’elenco dei vecchi farmaci attualmente in studio è lungo: ci sono un antistaminico che, accanto a orticaria e raffreddore da fieno, si spera possa essere utile nella cura del tumore della prostata, un antivirale utilizzato nella terapia dell’AIDS di cui si sta valutando l’efficacia nei tumori del collo e della testa, solo per citarne qualcuno. (Salute, Corriere) PAGINA 4 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno III – Numero 399 PREVENZIONE E SALUTE DIMMI COME DORMI E TI DIRÒ CHE MALE HAI SCOPRI LA POSIZIONE ANTI INVECCHIAMENTO Anche il lato in cui ci si appoggia ha il suo impatto sullo stato di salute Ogni posa che si assume dormendo ha pro e contro. A meno di appendersi a testa in giù come i pipistrelli, un cuscino collocato in maniera strategica può aiutare ad ammortizzare i danni. Una posizione può addirittura aiutare a contrastare le rughe. Sulla schiena con le braccia Sulla schiena con braccia ai lati - In genere considerata in alto – la posizione migliore per la salute della colonna vertebrale e il collo, a patto di non usare troppi cuscini. Inoltre, aiuta a prevenire le rughe del volto e i cedimenti della pelle. Chi dorme sulla schiena, però, russa di più che in qualsiasi altra posizione e può avere reflussi acidi. A faccia sotto - Dormire sullo stomaco può migliorare la digestione ma costringe a girare il volto su un lato costringendo a un'eccessiva tensione i muscoli del collo. Sul lato - Aiuta la schiena a rimanere nella sua curva naturale e riduce le apnee notturne. Di contro, può contribuire all'invecchiamento della pelle per la forza di gravità e può provocare dolore a spalle e braccia. Il lato conta, dormire appoggiati al destro può peggiorare infiammazioni cardiache mentre, sul lato sinistro, può dare tensione a fegato, polmoni e stomaco. Questa posizione, detta "a stella marina" ha gli stessi vantaggi e svantaggi della precedente. La differenza è che tenere le braccia su può comprimere i nervi delle spalle e portare dolore. Posizione fetale - Arrotolarsi in questo modo può essere comodo ma anche creare danni a collo e schiena. La curvatura del corpo può aiutare a evitare di russare. Col cuscino - Utilizzare un cuscino può aiutare a smorzare gli effetti negativi delle posizioni che si assumono durante il sonno. Chi dorme di schiena, ne può mettere uno piccolo sotto l'arco della colonna vertebrale. Chi si mette di lato, può posizionarne uno tra ginocchia e chi dorme a faccia in giù può mettere un cuscino sotto il bacino per sostenere le articolazioni. IN GRAVIDANZA CRESCONO I PIEDI? Tra le neomamme, la sensazione di avere i piedi più lunghi, o più larghi, o comunque diversi rispetto a prima della gravidanza è piuttosto diffusa. Ora, uno studio dell'Università dell'Iowa (Usa) conferma che non è solo suggestione: la gestazione infatti può modificare la forma e le dimensioni dei piedi, anche in modo irreversibile. I ricercatori lo hanno verificato misurando le estremità inferiori di 49 donne, durante il primo trimestre e a 5 mesi dal parto: nel 60-70% dei casi il piede è risultato più lungo e più largo. Più piatti: In particolare, le modifiche riguardano l'arco plantare, che si è ridotto dopo il parto: l'appiattimento comporta un allungamento del piede di 2-10 mm. Il fenomeno si verifica dopo la prima gravidanza, mentre di solito non si manifesta nelle successive. Le cause, secondo gli studiosi, sono da ricercare nell'aumento di peso e nella maggiore elasticità dei legamenti che si verificano in gravidanza. (Focus) PAGINA 5 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno III – Numero 399 FARMACI E SALUTE L’ASPIRINA RIDUCE IL RISCHIO DI CANCRO AL COLON DEL CINQUANTA PER CENTO Confermata l’efficacia del farmaco nella prevenzione del tumore, ma solo in soggetti geneticamente predisposti Che l’aspirina fosse un’eccellente arma di prevenzione oncologica, oltre che per le malattie cardiovascolari, era già noto da tempo. Sin dal 2009 infatti diverse e numerose ricerche hanno dimostrato l’efficacia dell’acido acetilsalicilico (il principio attivo del farmaco antinfiammatorio) nel ridurre l’incidenza di alcune forme di cancro, in particolare del carcinoma del colon-retto, la quarta patologia tumorale più diffusa e che ogni anno miete più di seicentomila vittime. STUDIO: un nuovo studio, condotto alla Case Western Reserve University di Cleveland in collaborazione con altri centri oncologici degli Stati Uniti, ha confermato l’azione protettiva dell’aspirina contro l’insorgenza di cancro al colon, dimostrando che l’assunzione costante (sotto prescrizione e controllo medico) può dimezzare il rischio di sviluppare il tumore, come si legge nell’articolo riportato il 23 aprile su Science Translational Medicine. Allora terapie a base di aspirine per tutti? Non proprio: lo studio, il più ampio ed esteso mai effettuato finora, è il primo a far luce sul perché l’effetto benefico funziona solo su determinate persone. Analizzando i dati raccolti in oltre trent’anni su quasi 128.000 soggetti e tramite esami istologici eseguiti su 270 pazienti affetti da carcinoma al colon, i ricercatori hanno scoperto che solo negli individui con alti livelli di un particolare gene nell’intestino, chiamato RNA 15-idrossiprostaglandina deidrogenasi (15-PGDH), l’uso dell’aspirina è davvero un deterrente contro il cancro. Il gene 15-PGDH è infatti in grado di catalizzare reazioni chimiche che inibiscono la produzione di prostaglandine, gli acidi che favoriscono l’insorgenza del tumore al colon-retto. L’aspirina agisce nello stesso modo, spiegano gli scienziati: l’azione combinata del farmaco e del gene15-PGDH riesce quindi a mitigare la formazione di tumori. Il meccanismo non funziona però per chi ha bassi livelli di 15-PGDH nel colon. Per queste persone gli studi hanno evidenziato che l’uso dell’aspirina (o di altri antinfiammatori non steroidei) è pressoché ininfluente nella prevenzione del tumore. “Il lavoro fornisce quindi un eccellente strumento di screening”. “Basta infatti eseguire una colonscopia con biopsia per misurare la quantità di 15-PGDH nell’intestino in modo da poter capire a quali soggetti l’aspirina effettivamente produce un reale beneficio nella prevenzione contro il cancro, evitando di somministrarla a chi non ne può giovare e si esporrebbe così solo agli effetti collaterali dovuti all’uso prolungato del farmaco, come infiammazioni gastrointestinali e ulcere”. Il prossimo passo sarà cercare di sviluppare un test rapido e facile, disponibile presso ogni ospedale, per individuare la presenza del gene 15-PGDH e predisporre così la terapia più appropriata. (Salute, Panorama)