Anno III – Numero 543
AVVISO
Ordine
1. Campagna
antinfluenzale 20142015
2. Corso ECM: Low dose
medicine omeopatia,
omotossicologia e
nutraceutica basate
sull’evidenza
Notizie in Rilievo
Scienza e Salute
3. Gli uomini che
preferiscono il piccante
hanno più testosterone
4. Perché gli
antidepressivi all’inizio
possono dare l’effetto
contrario
5. Melanoma: un nuovo
farmaco aumenta
l’aspettativa di vita
Giovedì 18 Dicembre 2014, S. Graziano
Proverbio di oggi………..
Tutto ‘o lassato è perduto Tutto ciò che è lasciato è perso
AVVISO
Ordine:
Disponibili sul sito
dell’Ordine i Turni
delle Farmacie
della Città di Napoli
2015
GLI UOMINI CHE
PREFERISCONO IL
PICCANTE HANNO
PIÙ TESTOSTERONE
Ormoni e cibo si influenzano reciprocamente
Prevenzione e
Salute
6. Ridurre il sale fa
diminuire il mal di testa
7. Più duro è il boccone,
più dimagrisci
Curiosità e Salute
8. Perché il pesce puzza?
Capita a volte che gli amici si sfidino a mangiare la portata più piccante sul
menu per dimostrare la propria virilità . Adesso sembra che questo rito di
mascolinità si basi su un fatto scientifico. In particolare, gli uomini con un alto
livello di testosterone preferiscono i cibi più speziati. A dirlo è una ricerca
pubblicata su Physiology and Behavior.
Un circolo che si autoalimenta - Il testosterone
è noto per rendere gli uomini più avventurosi,
aggressivi e attivi sessualmente. Coloro che ne
hanno i livelli più alti tendono a essere i più
dominanti, o i maschi alfa, del gruppo.
I ricercatori credono che i cibi piccanti vengono privilegiati da chi ne ha di più
e, al contempo, che mangiare alimenti riccamente speziati possa aumentare i
livelli di testosterone.
Legame tra ormoni e alimentazione - "si aprono nuovi scenari nella
biologia della preferenza del cibo espandendo la nostra comprensione del
collegamento tra i processi ormonali e l'assunzione di cibo". (Salute, Tgcom24)
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FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno III – Numero 543
SCIENZA E SALUTE
PERCHÉ GLI ANTIDEPRESSIVI ALL’INIZIO POSSONO
DARE L’EFFETTO CONTRARIO
La stimolazione e l’inibizione contemporanea di serotonina e glutammato spiega il
possibile preoccupante esito dei farmaci nei primi giorni di terapia
Il trattamento farmacologico della depressione con gli Inibitori della ricaptazione della serotonina
(SSRI) i farmaci attualmente più utilizzati a questo
scopo, ha una strana, e finora non del tutto compresa,
caratteristica: durante la prima o le prime due
settimane di trattamento, a seconda dei casi, non solo
non si manifesta l’effetto antidepressivo, ma si può
avere un peggioramento dei sintomi con un
incremento del rischio di gesti autolesivi, specie nelle
persone più giovani.
Rischio aumentato di compiere gesti autolesivi
Ora un articolo pubblicato sulla rivista Trends in
Cognitive Sciences fa chiarezza su questo fenomeno,
spiegando che probabilmente è dovuto a una loro
doppia azione finora non del tutto conosciuta.
La serotonina libera la motivazione prima che il glutammato stimoli l’umore.
«Dopo l’assunzione di SSRI si ha un’immediata amplificazione della componente di neurotrasmissione
legata alla serotonina, mentre si realizza una soppressione acuta della neurotrasmissione legata al
glutammato, che si normalizza solo dopo diversi giorni di trattamento farmacologico.
La serotonina è responsabile soprattutto della motivazione ad agire, a prendere iniziativa, mentre il
glutammato è responsabile in gran parte della percezione del piacere e dell’attività di tipo cognitivo,
quindi dell’umore.
Così, la persona affetta da depressione, nei primi dieci giorni circa di trattamento con SSRI si trova ad
avere lo stato affettivo tipico del depresso, mentre il suo livello di iniziativa precedentemente inibito
dalla depressione stessa si disinibisce. Da qui il rischio aumentato di compiere gesti autolesivi».
Uno studio che aiuterà meglio a calibrare le terapie
Il modello dei neuro mediatori: La stimolazione farmacologica dei sistemi di neurotrasmissione basati
sulla serotonina e sul glutammato è un meccanismo abbastanza complesso che coinvolge non solo la
liberazione di questi neuromediatori a livello della sinapsi (il punto di giunzione e comunicazione tra i
neuroni), ma anche la regolazione dei recettori che da tali neuromediatori sono stimolati.
Si tratta di un modello di funzionamento che oggi gli specialisti del settore accettano pur nella
convinzione che nella realtà biologica probabilmente le cose sono molto più complicate.
Trattamento farmacologico o psicoterapia: Riuscire a capire meglio il meccanismo d’azione degli SSRI
è importante visto il loro uso molto diffuso, e la cui reale efficacia nelle varie forme di depressione è
oggetto di discussione tra gli specialisti.
Si sa, ad es. che questi farmaci mostrano una discreta e rilevabile efficacia nelle depressioni di livello
medio grave, mentre è ancora dibattuta la loro reale utilità nel trattamento delle forme lievi di
depressione, nelle quali la loro azione sarebbe pressoché indistinguibile da quella del placebo, ossia di
un farmaco chimicamente inerte.
Per queste ultime forme oggi l’indicazione prevalente è quella della psicoterapia, soprattutto
psicoterapia cognitivo-comportamentale o interpersonale. (Salute, Il Corriere)
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FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno III – Numero 543
PREVENZIONE E SALUTE
RIDURRE IL SALE FA DIMINUIRE IL MAL DI TESTA
Per gli esperti bisogna abbassare la quantità a tre grammi al dì
Gli episodi di mal di testa possono diminuire anche di un terzo riducendo l'apporto di sale. In
particolare, occorre ridurre l'apporto a tre grammi al giorno, circa la metà di un cucchiaino da tè.
A rilevarlo è uno studio della John Hopkins University.
Semplice ed efficace - Per gli esperti, tagliare la quantità di sale riduce
i mal di testa perché abbassa la pressione sanguigna e differenziale. Ma
anche le persone senza problemi di pressione hanno osservato una
riduzione degli episodi nel momento in cui hanno ridotto la quantità di
sale assunta. In ogni caso, passare da una dieta sana a una non sana non
ha alcun effetto sul dolore specifico, secondo gli esperti.
La ricerca - Nello studio sono state coinvolte 400 persone a cui è stata
assegnata casualmente
 una dieta con pochi grassi e ricca di frutta e ortaggi
 una tipica dieta occidentale.
I partecipanti hanno mangiato il cibo con circa 9 grammi di sale al giorno,
nella media del consumo di sale degli Stati Uniti.
In seguito, l'apporto è stato ridotto a 6 grammi, fino ad approdare a una
dose quotidiana di 3 grammi.
Ai volontari è stato chiesto di riportare gli effetti collaterali come mal di testa, gonfiori, secchezza delle
fauci, sete eccessiva, stanchezza o calo di energia, nausea e cambiamento nei gusti.
Risultati: Gli esperti hanno scoperto, così, che ridurre l'apporto di sale a tre grammi al giorno riduce
i mal di testa del 31%.
"Il ridotto apporto di sale è riuscito ad arginare il problema mentre i regimi alimentari non hanno
avuto alcun effetto. Ridurre il sale può essere un nuovo approccio per ridurre il mal di testa".
(Salute, Tgcom24)
PERCHÉ IL PESCE PUZZA?
Colpa dei batteri, che producono quell'odore caratteristico e sgradevole. Ma
esistono degli "antidoti".
L'odore intenso di cui il pesce, soprattutto di mare, si impregna
dopo la cattura deriva dalla trimetilammina, un composto
organico altamente volatile contenente azoto. Questa molecola
si forma per l'azione di microrganismi presenti su pelle e
squame, che col passare del tempo degradano le cellule. Per
averne abbastanza da dar fastidio bastano anche meno dei
fatidici tre giorni.
ANTIDOTI: Per limitare l'impatto sgradevole di queste
molecole, la gastronomia ha da sempre fatto uso di preparazioni a base di sostanze acide. Come la
lessatura del pesce in court bouillon, un brodo ristretto preparato con acqua salata, sedano, carota,
cipolla e vino, aceto o succo di limone; oppure la cottura in umido al pomodoro, tipica della tradizione
mediterranea, le preparazioni in carpione o più semplicemente il limone come condimento.
Infatti, la trimetilammina diventa solubile in presenza di acidi, perdendo la volatilità che la fa giungere
fino ai nostri recettori olfattivi. (Focus)
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FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno III – Numero 543
SCIENZA E SALUTE
MELANOMA: UN NUOVO FARMACO AUMENTA
L’ASPETTATIVA DI VITA
Nei pazienti con tumore maligno riduce il tempo di progressione della malattia del
50% rispetto alla chemioterapia
Sono stati presentati al congresso internazionale Melanoma Bridge 2014 tenutosi a Napoli il 5
dicembre i risultati dello studio clinico Keynote-002
condotto su pazienti affetti da melanoma in fase
avanzata, cioè con metastasi e inoperabile.
Scopo dello studio è stata la valutazione di un nuovo
trattamento sviluppato dalla farmaceutica Msd a
base di pembrolizumab, un anticorpo che agisce
regolando il sistema immunitario contro le cellule
tumorali
(la
definizione
medica
è
immunomodulante) e già in sperimentazione
avanzata per oltre trenta tipo di cancro.
Il melanoma è uno dei tumori della pelle con
prognosi infausta più diffuso e colpisce ogni anno
trecentomila persone nel mondo. Solo nel nostro Paese nel 2014 ci sono stati undicimila nuovi casi.
Il nuovo farmaco è stato somministrato a soggetti refrattari o non che rispondevano alle cure con i
medicinali che solitamente si usano per migliorare la qualità e allungare il tempo di vita nello stadio
inoltrato della malattia, con risultati decisamente positivi: la riduzione del rischio di progressione
o morte è aumentata in tutti i pazienti in percentuali comprese tra il 43-50 %.
“È un ulteriore progresso nel trattamento dei pazienti affetti da melanoma†ha commentato Paolo
Ascierto, oncologo della Fondazione Pascale Istituto Nazionale Tumori di Napoli.
“Lo studio ha mostrato che nei pazienti in terapia con pembrolizumab, la sopravvivenza libera da
progressione (cioè il periodo di tempo dall’inizio della terapia durante il quale il tumore non
progredisce), è risultata essere tra 5,4 e 5,8 mesi, notevolmente superiore a quella del gruppo
sottoposto a chemioterapia che è stata di 3.6 mesi†continua l’oncologo.
“Il pembrolizumab sembra avere una maggior efficacia e minori effetti collaterali rispetto agli altri
immunomodulanti e ha quindi un impatto sulla malattia più rapido e percentuali di risposta più
elevate†spiega Ascierto.
La molecola alla base del farmaco è infatti in grado di ripristinare la naturale capacità del sistema
immunitario di riconoscere e colpire le cellule tumorali, perché blocca in modo selettivo un
particolare recettore (PD-1) del nostro apparato di difesa attivando così le cellule che attaccano il
cancro. In altre parole “toglie un freno†al sistema immunitario.
È quindi più efficace rispetto ad altri trattamenti chimici che rischiano di colpire e distruggere anche
cellule sane. Obiettivo dello studio Keynote-002 era infatti anche la valutazione del migliore effetto
terapeutico del pembrolizumab rispetto alla chemioterapia, che si è rivelato sei volte superiore.
“Il profilo di efficacia e di tollerabilità di pembrolizumab rispetto alla chemioterapia non lascia dubbi
sui vantaggi del primo rispetto a quest'ultima. L'analisi della qualità della vita ha dimostrato
indiscutibilmente un miglioramento dello stato generale di salute e dei sintomi rispetto alla
chemioterapia†riferisce Paolo Ascierto.
“Questo farmaco potrà inoltre essere utilizzato per la cura di altri tumori come il carcinoma del
polmone non a piccole cellule, tumore al rene, tumore della testa e del collo, tumore gastricoâ€. Già da
settembre il farmaco è disponibile per il commercio negli Stati Uniti.(Salute, Panorama)
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FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno III – Numero 543
PREVENZIONE E SALUTE
PIÙ DURO È IL BOCCONE, PIÙ DIMAGRISCI
I cibi più difficili da masticare, come la verdura cruda (o una bistecca venuta male)
stimolano il senso di sazietà e contribuiscono a ridurre l'apporto calorico di ogni
pasto.
Una fettina "tenera" come una suola di scarpa potrà non ispirare appetito, ma almeno non graverÃ
sulla linea.
Secondo una ricerca appena pubblicata su Plos One, la consistenza dei cibi giocherebbe un ruolo
chiave nel regolare l'assunzione giornaliera di
calorie: consumare alimenti meno teneri
potrebbe contribuire a tenere alla larga la ciccia.
Una piaga dilagante
Lo studio svizzero-olandese è stato ispirato da un
problema reale e in continuo aumento:
la diffusione dell'obesità che dagli anni '80,
secondo l'OMS, sarebbe quasi raddoppiata a
causa dell'aumento di vendite di cibi processati e
bevande zuccherine, complice la diffusione dei
fast food.
Per capire come la componente tattile del cibo influisca sul nostro modo di mangiare i ricercatori
hanno sottoposto 50 volontari sui 20 anni a due giorni di pasti "monitorati" in laboratorio:
 a pranzo, un hamburger con un contorno di riso e verdure,
 a cena un piatto di noodles con pollo e verdure.
ï‚· In uno dei due pranzi sono stati serviti un hamburger morbido con ortaggi bolliti;
 nell'altro un hamburger più duro con verdure crude.
Sazietà precoce. I volontari potevano consumare quantità di cibo a piacere ad ogni pasto.
Nel giorno in cui le pietanze del pranzo erano più dure e difficili da mangiare, i bocconi si sono fatti più
piccoli e la masticazione più laboriosa, e i soggetti hanno ingerito in media 90 calorie in meno rispetto
ai pranzi più "soffici".
Un apporto energetico inferiore del 13%, che non ha però modificato la quantità di cibo assunta a
cena:
il pranzo meno calorico non ha portato i volontari ad abbuffarsi di noodles al pasto successivo.
Il minore bisogno di cibo potrebbe essere collegato al fatto che una masticazione prolungata sembra
stimolare gli ormoni coinvolti nella regolazione dell'appetito (e dal senso comune).
Intervenendo sulla consistenza delle pietanze, sembra suggerire lo studio, è possibile indurre chi è giÃ
in sovrappeso a mangiare meno.
Senza contare che consumare alimenti - in particolare ortaggi - crudi significa assumerne gli elementi
nutritivi in forma inalterata, e senza grassi aggiunti.
(Salute e Benessere)